CHE
COSA AVRÀ PENSATO IL SIGNORE?
Da
poco se ne sono andate. Sono due giovani mamme.
S'è chiusa alle loro spalle la porta dell'ufficio
parrocchiale. Ma sento che il loro caso non s'è chiuso
dentro di me.
Ho letto nei loro occhi come un'ombra di delusione. E quell'ombra
mi perseguita.
Ho detto loro che non potevo fare diversamente.
La richiesta sembra piccola cosa. Ma la vita è fatta
di piccole cose. Poi ti accorgi che proprio nelle piccole
cose sono coinvolti significati che le trascendono, che
hanno la possibilità di illuminarle o anche di intristirle.
Erano venute a chiedermi una cosa piccola: che nella Messa
di quel sabato di ottobre si potesse ricordare il nome di
una persona cara, deceduta da poco.
E io a dire che per quella Messa già era stata assegnata
un'intenzione, un nome.
"Ma come?" -mi si obiettava- "Non è
forse di tutti e per tutti la Messa?".
E io a dire che sì, questa è la verità,
ma che purtroppo ancora c'è gente che, se le aggiungi
un nome a quello dei suoi cari, si sente come defraudata.
E aggiungevo che, dopo tutto, importante è che ogni
nome sia detto nel segreto del cuore dentro la memoria del
Cristo morto e risorto, confortati dalla certezza che Dio
non cedrà mai alle nostre meschinità né
mai accetterà di fare distinzioni tra i suoi figli.
CRONACA
MINORE?
L'episodio è cronaca minore. E ora che ne scrivo,
ho come l'impressione di parlare di cose che appartengono
a problematiche di piccolo cabotaggio ecclesiastico. E forse
non ne scriverei, se questa, come altre situazioni, non
mi riproponessero perentoriamente un pensiero.
È un pensiero che spesso mi sorprende. A volte me
ne sento ferito; ma poi mi succede di rimuoverlo, perché
"ormai" -mi dico- "cose stanno così.
Stanno da troppo tempo così".
È un pensiero che mi prende davanti a tante -forse
troppe- consuetudini del mondo cattolico, che troppo sbrigativamente
diciamo cristiane.
"Ma che cosa avrà pensato" -mi chiedo-
"il Signore?".
LA
NOTTE DEL TRADIMENTO
La domanda riguarda anche quel gesto, tra i più sacri
cui siamo chiamati, la Messa, quel gesto cui Gesù
ha legato la sua memoria vivente: "Fate questo in memoria
di me".
Che cosa avrà pensato Gesù in quella lontana
notte, quando nella stanza al piano superiore, rendendo
grazie, spezzò il pane e disse: "È il
mio corpo, offerto in sacrificio per voi"?
Nella notte -notte del tradimento! - consegnava la vita,
quasi dicesse: "Tra poco mi spezzeranno, come questo
pane. Ricordate che in mezzo a voi sono stato come un pane
spezzato".
Consegnava un gesto, consegnava la vita, consegnava una
memoria vivente e insieme un mandato.
Che cosa avrà pensato Gesù quella notte?
Io non so se quella notte gli occhi del mio Signore, scrutando
intensamente il futuro, avranno misurato anche la coltre
di grette incrostazioni sotto cui noi avremmo avvilito l'incandescenza
del pane spezzato.
Lo posso immaginare e posso narrare a me stesso la forza,
il coraggio, l'audacia di un Dio che si consegna a mani,
capaci purtroppo di contaminare e di stravolgere il gesto
della limpidezza estrema.
Se pensassimo a quegli occhi, a quel gesto nella notte -nella
notte del tradimento- come potremmo più a lungo sostenere
tradizioni di corto respiro, sotto cui andiamo soffocando
il sogno di un Dio che si fa pane spezzato?
E
FORSE È MERCATO
Ma
come è possibile? Come è possibile -mi chiedo-
che proprio nel gesto che è memoria viva delle braccia
allargate sulla Croce, memoria dell'abbattimento di ogni
divisione e barriera, si venga a costruire disegni di appropriazione?
"Questa Messa è mia; questa Messa è tua.
Questa Messa è dei miei cari e non è dei tuoi.
Questa Messa l'ho comandata, l'ho pagata (sic!) io. Quanto
"viene" una Messa?".
E che cos'è questo mercato nel giardino della più
trasparente gratuità?
Non suona tutto ciò tradimento? E non suonerebbe
al contrario limpida consonanza al desiderio di quella notte
il costume di chi dicesse: "Faccia di tutto perché
al nome dei miei cari si aggiunga una infinità d'altri
nomi, perché appaia in tutto il suo splendore che
Cristo è morto per noi e per la moltitudine"?
LE
DEVOZIONI E LA GRANDE DEVOZIONE
E
come è possibile -mi chiedo- che in una chiesa -potrebbe
essere la nostra, come potrebbe essere ogni altra chiesa-
mentre si celebra la memoria del Signore nel pane spezzato
e ognuno dovrebbe essere con gli occhi stupiti al gesto
della tenerezza infinita, si vada, senza far caso, come
se nulla accedesse, da un altare all'altro, accendendo ceri
e candele, celebrando piccole devozioni, proprio mentre
arde sulla mensa la grande devozione?
Nessuna luce, nessuna fiamma può ardere davanti al
volto di Dio più intensamente di quella custodita,
come fuoco che non si consuma, nel gesto della dedizione
incondizionata del Figlio sulla Croce.
PER
UNA CORALITÀ DEI DIVERSI
E
come è possibile -mi chiedo- usare una Messa, la
memoria del pane spezzato, per celebrare noi stessi, per
celebrare i nostri gruppi, per celebrare le nostre appartenenze?
Proprio là dove vive il ricordo di un Dio, che ha
svuotato se stesso, un Dio che non ha tenuto come suo privilegio
-dirà Paolo- nemmeno la sua divinità.
O come d'altro canto -e a quale prezzo? - potrebbe essere
legittimato un celebrare l'Eucaristia che fosse, in qualche
misura, sospettoso della differenza dei volti, dei percorsi,
delle ricerche; un celebrare dove si respirasse il disegno
di una strisciante omogeneizzazione, dico là dove
la profezia evocata non è certo la riduzione a un
unico volto, ma la coralità dei volti? Profezia è
che, pur essendo molti, in forza di quel pane spezzato,
siamo un corpo solo.
COME
È POSSIBILE?
Come
è possibile celebrare il "particolare",
là dove si accende la memoria dell'universalità?
Come è possibile celebrare la "pretesa",
là dove vive l'emozione del dono?
Come è possibile celebrare l'ovvietà e l'immutabilità
e l'immobilità, là dove si accede a un mistero
che da ogni dove ci sorprende, mistero al quale nessuno
di noi potrà mai strappare il suo segreto più
profondo? È da adorare.
Le due mamme sono uscite. Dietro loro ho chiuso la porta.
Ma il cuore mi invitava a trattenerle. Esse -lo so- ritorneranno:
il loro cuore sopporta anche questa delusione. Rimaneva
una luce nel loro guardarmi.
Ma quanti -mi sto chiedendo- chiusa la porta, più
non ritornano?
Trent'anni fa Padre Giulio Bevilacqua diceva: "Vi sono
lontani, perché assetati di una religione più
alta e perché ribelli a ogni infantilismo religioso".
Gli faceva eco il card. Montini: "I lontani sono spesso
più esigenti che cattivi. Talora il loro anticlericalismo
nasconde uno sdegnato rispetto per le cose sacre, che credono
in noi avvilite
".
don
Angelo
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