"LA
ATTIRERO' NEL DESERTO"
Ci
sono parole che riaffiorano, E forse, per grazia, anche
riaccadono.
Escono con te e con te rientrano. Come la canzone con cui
ti sei destato dal sonno questa mattina, o come il rumore
cupo del torrente che ti si fa compagno di viaggio, mentre
vai solitario per monti e valli.
Lungo questi giorni della Quaresima riaffiorano e si fanno
compagne di viaggio - perché queste e non altre?
- le parole del profeta Osea, parole di un Dio innamorato,
parole dell'innamoramento di Dio per il suo popolo:
"Ecco
la attirerò a me,
la condurrò nel deserto e parlerò al suo cuore.
Là canterà
come nei giorni della sua giovinezza,
come quando uscì
dal paese d'Egitto" (Os. 2,16-17)
Forse
è vero che non cantiamo più o che non cantiamo
più come nei giorni della nostra giovinezza.
Forse è vero che il cuore denuncia qualche stanchezza
e che la vita - la mia vita - si è come appesantita,
ha perduto d'intensità, di vibrazioni, di entusiasmo.
E' avvenuto come un logoramento, un invecchiamento. Forse
è vero.
* * *
E che cosa sperare? Che cosa augurarci se non che Dio ci
conduca nel deserto?
Forse deserto è questo nostro essere nudi: l'aver
corso mille strade, l'aver bussato a mille porte e fissare
sgomenti le nostre mani vuote.
Eppure - tu lo sai - non basta che qualcuno mi rinfacci
la stoltezza, la sprovvedutezza del mio correre vano.
Non mi bastano - tu lo sai - le prediche che mi dicono:
"l'hai voluto tu. Ora lo paghi questo tuo affannarti
dietro mille cose"
Non mi bastano i preti che fanno a gara a sbattermi in faccio
il deserto, il deserto del cuore.
Questi discorsi mi lasciano più triste e più
vuoto di prima.
* * *
La speranza è in questo Dio che, nonostante tutto,
mi attira come innamorato nel deserto. E nel deserto ha
la tenerezza di chi parla al cuore.
"Parlare al cuore": siamo lontani dal parlare
categorico, un parlare che ti fa stare nella paura, nella
sudditanza, in un rapporto di puro scambio: a tanto tanto.
Parlare al cuore o, meglio, parlare "sul cuore"
- così il testo ebraico - è il parlare tenerissimo
degli innamorati.
Sono tanti infatti quelli che ti parlano. Sono meno, molto
meno, quelli che parlano al cuore.
Sono pochi, li conti, quelli che parlano sul tuo cuore.
Ed è l'unica cosa che ti cambia. Non ti cambiano
le accuse, i rimproveri, le minacce. Ti cambia la fiducia
di uno che ti usa tenerezza.
Dio è di questi. Lascia che in questa quaresima ti
parli "sul cuore".
"LE
TOGLIERO' DALLA BOCCA I NOMI DEI BAAL"
E,
ancora, è scritto:
"Le toglierò dalla bocca
i nomi dei baal
che non saranno più ricordati" (Os. 2,19)
Ecco,
Dio ti libererà dai baal, cioè da coloro che
pretendono di esercitare su di te un diritto di proprietà.
"Ba'al", in ebraico, significa signore nel senso
di "padrone", uno che ti fa da padrone, uno che
ti compra con il pane, con l'ambizione, con il miraggio
del potere e ti fa schiavo, ti fa cadere alle sue ginocchia.
"tutte queste cose io ti darò, se, prostrandoti,
mi adorerai" (Mt. 4,9).
* *
Dio ci tolga dalla bocca i nomi dei nuovi baal, che popolano
a dismisura, tronfi e arroganti, le nostre strade.
Oggi, non meno di ieri, è tempo di "vitelli
d'oro". E stupisce come al vitello d'oro rimanga inalterata,
anzi quasi maggiorata, la forza della seduzione.
Ti chiedi come non avvenga che si passi, di bocca in bocca,
un grido d'allarme, un grido che ci faccia tutti vigilanti
e resistenti, tanto e tale è il saccheggio della
libertà, quella interiore, che si profila all'orizzonte.
Che cosa ci ha a tal punto narcotizzati da non vedere, da
non capire, da non pensare?
Siamo anche noi arrivati a questa deriva di rimpiangere
cipolle e cocomeri d'Egitto, dimenticando che i nostri padri,
i resistenti, avevano indubbiamente meno cose di noi, ma
custodivano gelosamente la fierezza della libertà?
"CANTERA'
COME NEI GIORNI DELLA SUA GIOVINEZZA"
Come
essere salvati da questo morso velenoso che silenziosamente
ci consuma?
In quel deserto di aridità e di tentazione , dove
al sibilo del vento sulle dune sembrava accompagnarsi per
gli ebrei seducente il richiamo del vitello d'oro, Mosè
innalzò, su ordine di Dio, il serpente: "E chiunque
lo guarderà" - aveva detto - "resterà
in vita" (Nm. 21,8).
"Come Mosè innalzò il serpente nel deserto"
- dirà Gesù - "così sarà
innalzato il Figlio dell'uomo, perché chiunque crede
in lui abbia la vita eterna" (Gv. 3,14).
Alla grande seduzione non c'è rimedio se non la contemplazione
della "debolezza" e della "stoltezza"
della Croce.
* * *
Anzi dobbiamo confessare che se l'apparenza, il vuoto, il
malaffare, la prepotenza, l'arroganza, la rissosità
stanno segnando così vistosamente il nostro tempo,
è anche perché nei nostri pensieri si è
come impallidita la memoria del Cristo innalzato sulla Croce.
Alla scuola del Signore della Croce siamo fatti discepoli
di un' "altra" sapienza e di un' "altra"
fortezza, radicalmente diverse da quelle ampiamente esibite
dai troppi personaggi che affollano i nostri schermi televisivi.
Solo osassimo a quei modelli accostare per un solo istante
- più a lungo sarebbe dissacrante - la memoria della
Croce, patiremmo un senso di estraneità e di spaesamento.
Stranieri e fuori paese, se - come dicono i vescovi lombardi
- il paese vero, il paese della vera libertà è
quello dell'uomo che vive non conservandosi, ma donando
sé stesso.
Ritornare a volgere lo sguardo alla Croce: da questa urgenza
prende luce il cammino della nostra comunità parrocchiale,
che al centro della meditazione quaresimale ha posto quest'anno
la Croce di Gesù.
E sulle pareti - anche i cuori hanno una parete - ritorni
a parlare la storia di un Dio crocifisso.
Ricordo l'emozione patita anni fa nel monastero dell' Incoronata
a Martinengo, davanti all'arco trionfale della Chiesa: filtrava
caldo il sole e accendeva lo splendido affresco che raffigura
la Crocifissione.
Le generazioni del passato ti consegnavano nella nudità
quella memoria. E null'altro.
Ognuno
narrava
su pareti
affrescando
una storia.
Tutti
insieme a narrare
la storia di un Dio
fatto uomo
fatto croce.
Tutti
a leggere
in controluce rapiti
la storia di un popolo,
il suo morire e il suo
risorgere.
Senza
storia oggi
le nostre pareti
defraudate
d'ogni memoria.
Ci
perseguita notte e giorno
immoto biancore,
vuoto e assenza
che uccide.
E la paura
di mondi senza volti,
senza il tuo volto,
Signore.
don
Angelo
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