STORIA
DI FERITE LUMINOSE
Oggi,
mentre indugiavo a contemplare i primi germogli del roseto
e l'albero del prunus che già si intenerisce di minuscole,
quasi invisibili, gemme di fiori bianchi, forse più
evocati dal cuore che non intravisti dagli occhi, mi sembrava
di cogliere ancora una volta in questo silenzioso miracolo
della natura un presagio della Pasqua vicina.
Sa di miracolo questo sbocciare di turgidi germogli nei
pochi metri delle nostre improbabili terrazze cittadine.
A fronte dei germogli, sembra quasi contrastare la rigidità
e imperturbabilità delle case, delle pareti e dei
muri, pur così vicini al risveglio silenzioso della
natura.
Ma perché - mi son chiesto - condannare così
apoditticamente la loro rigidità: non furono loro,
dopo tutto, a proteggere in qualche misura alberi e germogli
nei rigidi giorni dell'inverno? Eppure rimane il contrasto.
Ma duri, impenetrabili, non saremo anche noi - noi e questa
chiesa - a un passo dalla Pasqua del Signore?
LA
NUDA CROCE
Sarà
che sto invecchiando. Mi succede che brandelli di ricordi
indugino sempre più nella memoria del cuore. E oggi,
pensando alla Pasqua e alla centralità del suo mistero
nella vita dei credenti, mi ritornava alla mente la tradizione,
ora scomparsa generalmente, di velare durante la quaresima
ogni quadro ed ogni icona nelle chiese. Nessuna immagine
né di Madonne né di Santi. Campeggiava nella
sua assolutezza il Crocifisso, unica memoria del cuore.
Mi rimane - lo confesso - la nostalgia e il rimpianto della
nuda Croce.
Rimpianto e nostalgia crescono a dismisura in questa chiesa
che si sta popolando oltre misura di altri segni, di nuovi
protagonisti, in questa chiesa dove capita di inseguire
liturgie che sconfinano nel teatro, dove protagonisti alla
fin fine diventiamo noi preti e i nostri "servitori",
dove disperatamente vai cercando, senza trovare, celebrazioni
che custodiscano gelosamente il silenzio e trovi soltanto
rumore, dove gli occhi curiosano su tutto e così
poco s'affissano al Signore.
Il rischio è che diventiamo quasi inconsciamente
pareti, forse anche imponenti, ma non sfiorate dal mistero
del germoglio, il germoglio dell'albero della Croce, della
Pasqua del Signore.
LA
CENTRALITA' DELLA PASQUA
Una
comunità che metta al centro la Pasqua del suo Signore:
così è scritto nel progetto pastorale della
nostra parrocchia.
Forse non è decisivo - così mi sembra di capire
- che si rimanga tutti in città a celebrare il triduo
pasquale. Possiamo essere qui e celebrare noi stessi, con
gli occhi fissi a vuote immagini. Puoi essere invece altrove
e, come vero umile discepolo, avere gli occhi fissi al Crocifisso
risorto, gli occhi alle sue piaghe luminose.
"Sorprende la croce di Gesù". Sorprende
- scrive Don Bruno Maggioni - "perché si tratta
di uno spettacolo in cui appare tutta la malvagità
dell'uomo che non esita a condannare l'innocente, ma nel
contempo appare tutta la profondità e l'ostinazione
del perdono di Gesù.
La croce insegna che il male c'è, che la malvagità
esiste e che occorre vederla, scoprirla, denunciarla, ammetterla.
Il credente guarda il male con uno sguardo serio e preoccupato.
LO
SPETTACOLO DEL PERDONO
Ma la Croce è anche uno spettacolo in cui si scorge
il perdono.
Racconta una storia ebraica che quando Dio decise di creare
il mondo, non riusciva a farlo stare in piedi, non stava
ritto, cadeva e ricadeva. una volta, due volte. Allora Dio,
accanto al mondo, creò il perdono e il mondo stette
ritto.
Se il mondo continua, è perché Dio ci perdona
tutte le mattine e tutte le sere, e il Cristo in Croce è
la rivelazione di questo perdono".
Che altro allora posso augurarmi se non questo di andare
anch'io in questa Pasqua contemplare le piaghe luminose
del Signore della Croce?
O forse, ancor più, questo vorrei augurarmi e augurare:
Che sia Lui, il Signore a venire! Possa entrare, come quella
sera, nei nostri cenacoli chiusi, là dove ci va barricando
la paura.
La paura degli altri o la paura di noi stessi? L'insopportabilità
del male altrui o del nostro male? Perché tutti -
sarà bene ricordarlo - siamo fuggiti e forse questo
alla fine ci accomuna e fa paura.
I discepoli, quelli della prima ora, ebbero il coraggio
di scrivere, che, dopo quaranta giorni di ripetute manifestazioni
del Risorto, alcuni di loro ancora dubitavano e provavano
paura: era la chiusa del vangelo di Marco. A qualcuno sembrò
una chiusa non troppo esaltante e si diede da fare per aggiungere
un finale più "decoroso".
A
MOSTRARCI LE PIAGHE TRASFIGURATE
E
dunque venga il Risorto nei nostri cenacoli chiusi e mostri,
a noi, uomini e donne della fuga e del dubbio, le mani e
il costato; ci mostri il segno dei chiodi. E dica di nuovo:
"Pace a voi".
Le piaghe del Signore si son fatte luminose per la Risurrezione.
Sono piaghe che più non condannano, sono diventate
il luogo del perdono, danno pace.
Sono piaghe che ti accolgono, senza umiliare. Rileggiamo
ancora una volta i racconti della Risurrezione e non finiremo
di ammirare la discrezione: è un Signore che non
"canta vittoria", che non rinfaccia le fughe ai
discepoli.
Forse sì con Pietro, ma velatamente. Gesù
allude al triplice rinnegamento, chiedendo una triplice
confessione d'amore. Forse con Pietro - mi si perdoni l'interpretazione
- perché nessuno come lui si era mostrato così
sicuro, quasi spavaldo, nel prendere le distanze da quelli
che tradiscono: "Anche se tutti saranno scandalizzati,
io non lo sarò" (Mc. 14,29).
STORIE
URLATE, STORIE SEGRETE
Pasqua
dunque è lasciare che il Signore ci mostri le piaghe
luminose, come l'unica vera vittoria.
C'è sempre più, per le strade del nostro tempo,
una storia urlata, che va purtroppo per vie diametralmente
opposte a quella delle ferite del Risorto: si ama mostrare
altro! Mostrare la forza, mostrare i muscoli, mostrare la
superiorità, urlare, gridare, inveire.
Ma c'è, per grazia, per le strade del nostro tempo,
una storia segreta che dovrebbe essere raccontata. Raccontata
chissà dove? Forse anche su un povero foglio come
questo: potremmo intitolarla storia delle piaghe luminose.
Storie che nascono come da sorgente dal mistero della Pasqua:
vanno raccontate nel silenzio, vanno passate quasi sottovoce
dall'uno all'altro, senza sbandierare.
E' arrivata a me, proprio in questi giorni, una di queste
storie, straziante e incandescente ad un tempo.
E' la storia di Lucj Vetrusc, una delle novizie che ha subito
violenza da parte dei miliziani serbi.
Storia di piaghe luminose. Forse ancor più luminose,
perché, come quella del Signore, discreta, in tempi
in cui si ama celebrarsi e suonare le trombe. La affido
a voi, così come è giunta a me. A voi passarla
ad altri, sottovoce.
Tra le parole degli uomini, oggi come oggi, non ne ho una
che mi introduca con altrettanta emozione alla Pasqua del
Signore.
"Tornerò povera, riprenderò il vecchio
grembiule e gli zoccoli che le donne usano nei giorni feriali
e andrò con mia madre a raccogliere resine dalle
cortecce dei larici dei nostri grandi boschi. Non si stupisca,
reverenda Madre Generale, della mia decisione. Deve pur
esserci qualcuno che cominci a rompere la catena dell'odio
che deturpa i nostri paesi. Al figlio che verrà (
se verrà), insegnerò proprio soltanto l'amore.
Lui, nato dalla violenza, testimonie
don
Angelo
|