ED
ESSERE VAGLIATI CON IL FUOCO
Forse non abbiamo sufficientemente ricordato le antiche
parole, l'antico messaggio del libro del Deuteronomio.
Mi è capitato più volte di sentirmele rimormorare
nel cuore in questi ultimi mesi, in cui - penso - un po'
tutti abbiamo patito vergogna.
Vergogna per quello che vediamo, per quello che ascoltiamo
o leggiamo, per quello che siamo; perché, se da un
lato desta sempre più stupore o indignazione il degrado
della cosa pubblica, dall'altro non minore sconcerto destano
gli schieramenti, le dichiarazioni, i proclami, da cui traspare
così forte la volontà di difendersi e così
debole invece, quasi assente, la sofferenza per il male,
quasi che ferita - ferita a morte - non fosse la speranza,
il bene più prezioso di un popolo, quasi che offesa
non fosse l'immagine dell'onestà e della giustizia.
IL
CUORE NON SI INORGOGLISCA
Non
abbiamo sufficientemente vigilato: ci ha ripetuto più
volte l'Arcivescovo.
E si tratta indubbiamente del venire meno di una vigilanza
nell'ambito sociale e politico. Ma non solo.
Il male oscuro aveva radici ancor più lontane: stiamo
scontando la nostra smemoratezza. Quasi si avverassero puntualmente
le parole antiche del Deuteronomio, le parole lasciate,
in un giorno lontano, come testamento, da Mosè al
suo popolo, nelle steppe di Moab: le parole avevano il brivido
della profezia e gli occhi di Mosè si accendevano
di passione nel pronunciarle.
"Guardati dunque dal dimenticare il Signore tuo Dio
così da non osservare i suoi comandi, le sue norme,
le sue leggi che oggi ti do.
Quando avrai mangiato e ti sarai saziato, quando avrai costruito
belle case e vi avrai abitato, quando avrai visto il tuo
bestiame grasso e minuto moltiplicarsi, accrescersi il tuo
argento e il tuo oro e abbondare ogni tua cosa, il tuo cuore
non si inorgoglisca in modo da dimenticare il Signore tuo
Dio, che ti ha fatto uscire dal paese d'Egitto, dalla condizione
servile
Guardati dunque dal pensare: La mia forza e la potenza della
mia mano mi hanno acquistato queste ricchezze. Ricordati
invece del Signore tuo Dio perché Egli ti dà
la forza per acquistare ricchezze, al fine di mantenere,
come fa oggi, l'alleanza che ha giurata ai tuoi padri.
Ma se tu dimenticherai il Signore tuo Dio e seguirai altri
dei e li servirai e ti prostrerai davanti a loro, io attesto
oggi contro di voi che certo perirete!". (Dt. 8,11
- 14.17-19).
I GIORNI DELLA SMEMORATEZZA
Perirete!
Le ragioni del nostro perire, che è un perire a tutti
i livelli, non stanno forse qui, in questo inorgoglirsi
del cuore?
Un inorgoglirsi più sottile, ma anche più
pericoloso, di quello di chi positivamente si ribella a
Dio: la ribellione, poco o tanto, ti chiede di prendere
posizione e diventa scelta cosciente.
C'è invece un inorgoglirsi silenzioso, quasi inosservato,
quello di chi pensa, alla fin fine, di bastare a se stesso.
A Dio non si ribella, non lotta contro Dio: semplicemente
lo ignora. Dio è relegato tra le cose ininfluenti
e quindi di lui è ovvio dimenticarsi. Sono i giorni
della smemoratezza.
Di una smemoratezza, direi, pratica: c'è tempo per
tutto e per tutti; non per Dio.
O forse sì c'è anche un tempo per Dio. Ma
è un tempo non programmato: "Se ho tempo
":
diciamo. Mentre quasi tutto il resto ha un tempo nella nostra
vita, un tempo delimitato, preciso.
Mettere Dio e l'ascolto della sua Parola tra le cose che
faccio "se ho tempo" non significa forse attentare
praticamente e ferire a morte il primato di Dio? Non significa
forse impallidire inesorabilmente il suo volto e la sua
Parola, a fronte dell'imperversare quasi ossessivo di altri
volti e di altre parole? Siamo caduti nella smemoratezza.
DEFRAUDATI
DEL SILENZIO
Forse
il male oscuro di un ceto politico che pure rivendicava
a se stesso l'ispirazione cristiana fu quello di frequentare
assiduamente sagrestie, canoniche, manifestazioni religiose
e non altrettanto il silenzio delle chiese e il segreto
della coscienza, là dove il cuore di ognuno viene
vagliato al fuoco della Parola di Dio.
Nel silenzio, non altrove, noi siamo provati con il fuoco
e vagliati nella nostra fedeltà.
A volte mi sorprendo a pensare che proprio di questi spazi
del cuore, più che di altre cose, la nostra generazione
è stata pesantemente defraudata. E checché
si dica, le cose più vere - e anche le più
atroci - accadono nel cuore e dal cuore: "E' dal cuore
"
diceva Gesù (Mc. 7,21).
Di qui l'importanza del deserto, del silenzio, perché
le parole accadano nel cuore.
UNA
VIA DISERTATA
Il
ritorno al deserto è un percorso insistentemente
evocato dalle parole dei profeti e dall'esempio di Gesù,
quasi come condizione ineludibile per convertirci dalla
infedeltà.
"Perciò,
ecco, la attirerò a me,
la condurrò nel deserto
e parlerò al suo cuore" (Os. 2,16).
Non
abbiamo bisogno, penso, di altri predicatori, di altri conferenzieri:
le tavole rotonde e i dibattiti si sprecano. Abbiamo bisogno
dell'altro, che ci parli "sul cuore", come il
testo sembra suggerire. Anche dal punto di vista della fede!
Non era nelle intenzioni della vera riforma una rarefazione,
fino quasi alla pratica eliminazione, del silenzio nelle
celebrazioni liturgiche. Eppure oggi siamo a tanto. C'è
un eccesso di parole, anche in campo ecclesiale. Quasi a
prefigurare un'invasione, un ingorgo della strada che va
dai vari parlatori all'uomo e alla donna che ascoltano,
mentre sguarnito, semideserto o deserto è il percorso
che va dalle orecchie che hanno ascoltato al cuore.
Se non ritorniamo a frequentare il tratto di strada che
va dalla Parola ascoltata al segreto della coscienza, gli
inviti alla conversione e al rinnovamento rimarranno irrimediabilmente
retorici.
SILENZIO
E CONTEMPLAZIONE
"Il
gruppo Abele va in convento": così un quotidiano
titolava in questi giorni un articolo in cui si parlava
di un'iniziativa sorprendente di Don Luigi Ciotti, il prete
antidroga, che ha pensato di acquistare un monastero, fuori
Torino, per farne uno spazio aperto a tutti.
"No, non lo apro per mia fantasia, questo spazio"
- spiega Don Ciotti - "Sento, tocco con mano continuamente
che c'è un grande bisogno di silenzio, di contemplazione.
Negli ultimi anni l'impatto con l'aids mi ha provocato una
grande inquietudine. E' un segno grande - lo dico con umiltà,
ma anche con forza - che proprio un gruppo che vive tra
i mondi più distanti, che è in dialogo con
realtà che fanno fatica , che sono in ricerca, che
hanno bisogno di assoluto e di infinito apra uno spazio
come questo".
Leggevo e al cuore ritornavano due passi bellissimi su silenzio
e contemplazione, ricordati da Mons. Gianfranco Ravasi all'inizio
della Quaresima.
Uno di Pascal, che nel pensiero 239 scriveva: "Ogni
disgrazia viene agli uomini da una cosa sola: il non sapere
restare in silenzio e in quiete in una camera".
L'altro pensiero - forse non immagineremmo di chi - è
di Alberto Moravia. Scriveva: "Per ritrovare un'idea
dell'uomo, ossia una vera fonte di energia, bisogna che
gli uomini ritrovino il gusto della contemplazione. La contemplazione
è la diga che fa risalire l'acqua nel bacino. Essa
permette agli uomini di accumulare di nuovo l'energia interiore
di cui l'azione li ha privati "
don
Angelo
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