MANI
CHE ACCAREZZINO IL VOLTO
a Padre David Maria Turoldo
Sono
stato in dubbio se scrivere o no. Scrivere di te, Padre
Davide, dopo che tutti, o quasi tutti, i mezzi di informazione
si sono impadroniti della tua immagine.
Ho letto pagine che mi hanno commosso: non erano parole,
erano mani che accarezzavano il tuo volto. Ne ho lette altre,
che battevano l'aria, articoli da inviato speciale, lontanissimi
dal fuoco che ti abitava, insopportabili alla nostra sensibilità,
come gli articoli di quei missionari che sputano giudizi
sulla missione, solo perché hanno "viaggiato"
da una missione a un'altra e mai che abbiano condiviso dal
di dentro la fame, la fatica, le notti.
Alcune voci, caro Davide, erano di troppo. Altre invece
le sto ancora attendendo: quelle di Camillo, per esempio,
o di Elena, o di Abramo
quelle degli amici che hanno
condiviso con te il pane e il vino, le ore del giorno e
le ore della notte, i tempi della celebrazione e quelli
dell'esilio.
Io di te non posso scrivere se non raccontando una "cronaca
minore", quella che non ha nulla di spettacolare né
finirà mai sui giornali: rimane indelebile nella
memoria del cuore.
E' un raccontare il mio, senza pretese di definire. Così
come ci si racconta tra amici. Tu raccontavi, Padre Davide,:
quante sere, fino a notte fonda, a raccontare!
ERO
UN LICEALE
La
cronaca minore - la mia - ha inizio in giorni in cui mi
era sconosciuto il tuo volto.
Ero un liceale e nei Seminari leggere Montale, Ungaretti,
Turoldo era guardato non dico con sospetto, ma quasi fosse
una stranezza. E io affascinato dai tuoi versi, asciutti,
ma abitati dallo stupore: "Io non ho mani/ che mi accarezzino
il volto
".
Cominciavo così a seguirti, come da lontano, quasi
furtivamente. Erano i tempi di una frequentazione e di un'amicizia
inespresse.
LE
PARABOLE
Poi
mi fu dato conoscerti da vicino: conoscere i tuoi occhi,
la tua voce, le tue mani.
Erano gli anni in cui le strade si infiammavano di immaginazione
e, a volte, purtroppo anche di violenza; gli anni del vento
per la chiesa: e non era solo vento di tempesta, come usavano
dire i profeti di sventura, ma anche e soprattutto vento
di Pentecoste, vento del Concilio.
Ricordo ancora: eri venuto a Busto Arsizio a commentare
una parabola - tu ci hai sempre commentato le parabole,
quelle di Dio e quelle dell'uomo -.
Quella sera, il commento era sulla parabola del samaritano.
Sono passati più di vent'anni: "Un uomo"
- leggevi - "scendeva da Gerusalemme a Gerico
":
e la tua voce a sottolineare: "un uomo, capite, senza
aggettivi, senza qualifiche o appartenenze. Un uomo! Ti
basta che sia un uomo, perché tu ti senta chiamato
a fermarti".
E poi ancora, nel tuo commento, l'accenno a tuo padre, che
si ribellò il giorno in cui qualcuno si azzardò
a dire che tu eri la sua immagine: radunò gli altri
otto figli con te, e disse: "No. Tutti insieme e solo
insieme fanno la mia immagine". Così - commentavi
- noi tutti, ma insieme, siamo l'immagine di Dio. La parabola
di Dio e la parabola dell'uomo.
Ti accompagnammo a S. Egidio nella notte. Era buio, ma il
cuore ardeva, come ai pellegrini di Emmaus.
IL
TAVOLO
E
vorrei raccontare anche del tavolo. Sì, Davide, mi
è rimasto negli occhi quel lungo tavolo, intorno
al quale si conveniva da ogni dove, il sabato sera.
Erano i primi mesi del mio ministero a Lecco: mi riuscì
per qualche mese - ma la fortuna durò poco - di tenere
libero da impegni il sabato sera. Venivamo con amici alla
tua lectio.
Ricordo il tavolo, il grande tavolo; e le tue mani, le grandi
tue mani e la Bibbia, il grande Libro. Senza quel Libro,
senza la Parola, sarebbe inspiegabile, senza cifra, ogni
angolo della tua vita.
LA
STRADA
Il
tavolo e la strada. Ti ho visto per le strade, sulle piazze,
anche nei teatri. E non eri un tribuno, un arringatore di
folle, non cavalcavi le ideologie: così ti potrebbero
descrivere solo quelli che non vanno oltre la crosta delle
cose, non hanno occhi per l'invisibile .Eri un servitore
della Parola, del popolo e della Parola insieme.
Ti ho visto sulle strade, le strade di tutti, a camminare
con tutti, al di là delle appartenenze - la chiesa
appartiene solo al suo Dio! -: quelle appartenenze che poco
o tanto sequestrano e velano l'universalità dei cammini.
Non fu un luogo facile la strada: c'è rumore, c'è
polvere, c'è fatica, c'è passione.
E' luogo di fraintendimenti la strada. E anche di incomprensioni:
quelle che tu hai patito da parte di coloro che sono soliti
giudicare tutto e tutti dall'alto della loro "illibatezza".
E come avrebbero potuto, dall'alto della loro separatezza,
leggere la sete di Dio a la passione del Vangelo dietro
le vesti impolverate e strappate di chi aveva scelto di
stare sulla strada degli uomini?
L'ABBRACCIO
E
venne un vescovo a Milano. La città rimase colpita
- anche noi, Davide; ricordi? - per quel suo ingresso in
Diocesi così inusuale. Non era processione; era cammino
.
Entrava camminando con il suo popolo, confuso tra la gente.
Non c'erano protezioni, non separatezze. Era spoglio di
tutto. Portava in mano la Bibbia: lo stesso libro nelle
sue mani e nelle tue, Padre Davide.
Non poteva finire che in un abbraccio. Quando mi succede
di legare nella memoria il tuo ricordo a quello del Cardinale
Martini, l'immagine che più mi ritorna al cuore è
quella dell'abbraccio.
Ricordo quando ti abbracciò forte nella chiesa di
S. Carlo. Era il lontano 1983 e si dava una tua rappresentazione
sacra, "La morte ha paura", in occasione del Congresso
eucaristico.
Ricordo il suo ultimo abbraccio alla Rotonda dei Pellegrini,
nel consegnarti il premio "Lazzati". E tu respiravi
nell'abbraccio finalmente l'aria di casa: il Vescovo - ricordi?
- ti sfiorava dolcemente, quasi avesse paura di farti male
- già ti era stato fatto troppo male - :sfiorava
il tuo carpo smagrito, esile, fragile, eppure trasparente.
Ti abbracciavano le mani. Ma già ti avevano abbracciato
le sue parole: riconoscevano la profezia, riconoscevano
incomprensioni dolorose del passato.
"Oltre l'apprezzamento per ciò che sei, vogliamo
fare atto di riparazione, vogliamo evitare di edificare
soltanto sepolcri ai profeti, e dirti che se in passato
non c'è sempre stato riconoscimento per la tua opera
è perché abbiamo sbagliato".
GLI
ULTIMI
Hai
passato una vita con gli ultimi, con le loro speranze e
con le loro disperazioni. Degli ultimi infaticabile voce,
fino a condividere, nell'ultimo male, la loro sorte.
E gli ultimi, che sempre si erano riconosciuti nelle tue
parole, alla fine si riconobbero nel tuo venerdì
santo, perché "credere a Pasqua non è
giusta fede". Fede vera è al venerdì
santo
"quando
non una eco
risponde
al tuo alto grido"
Nel
salutarti il Cardinale Martini volle dirti: "Tu, Padre
David, hai sentito il silenzio di Dio, l'abbandono dell'uomo,
l'urlo della disperazione presente in ciascuno di noi: e
ci hai condotto per queste foreste oscure, con mano amica,
tremante, perché tu stesso tremavi e temevi, ma con
una fede incrollabile, che non sempre abbiamo saputo capire
e valutare".
LA
CASA
Forse
ci sfuggirebbe qualcosa di te, se non ricordassimo, Padre
Davide, il tuo amore per le nostre case: il tuo volto è
legato alle nostre case.
Ti sentivi a tuo agio nella casa. Non nei salotti: anzi
i salotti, quando arrivavi tu, ridiventavano casa, non luoghi
della chiacchiera vuota, ma finestra, spalancata sul mondo,
sulla grande casa dell'umanità.
Le nostre case, come segno dell'amicizia che per te fu sacra.
E gli amici erano tribù, la grande tribù di
Davide: direbbe Luigi Santucci.
Possente la tua voce, come di tuono, ma tenerissimo il cuore.
Una casa dunque dove potesse riposare il cuore, come succedeva
a Gesù nella casa di Betania. Riposare nel volto
degli amici: sì, certo, la casa è anche il
profumo della mensa, è l'odore buono del pane, è
il sapore forte del vino e tu ne eri grato; ma per te la
cosa importante era raccontare e ascoltare.E l'amicizia,
il raccontarsi, prendeva tutta la notte.
L'amicizia, la casa. Lasciami dire: anche le tue dediche,
Davide, segno di un dolce sorriso, che sapeva scherzare
con gli amici.
Rileggo le dediche che aprono i tuoi libri, una dopo l'altra
e ti vedo sorridere e scherzare, su su fino all'ultima che
dice l'attesa più vera:
Nel segno del tau: A Don Angelo, un "segnato"
più di me. 1988.
Le opere e i giorni del Signore: A Don Angelo, capace di
rendere bella anche una chiesa brutta. Con gioia. Natale
1989.
O sensi miei
: A don Angelo, ormai da anni dentro il
mazzo dei miei amici più cari. Natale 1990.
Anche Dio è infelice: A Don Angelo
di Dio "che
sei il mio custode". 1991.
Canti ultimi: A Don Angelo nella speranza di una sempre
più vera comunione. Con gioia. 1991
Ci
manchi, Padre David. Ma sappiamo che oltre la soglia arde
il fuoco e ci sono mani che ti accarezzano il volto.
don
Angelo
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