SULLE
STRADE, VERSO LA PASQUA
E' come se fosse oggi nell'aria. E mi accompagnasse in questi
giorni. L'invito di Gesù a salire:"Ecco noi
saliamo a Gerusalemme e il Figlio dell'Uomo sarà
consegnato" (Mc. 10,3).
Ed è come se l'invito mi includesse: anch'io preso
nel movimento, tra quelli che salgono e diventano così
partecipi dell'evento. Di quella Morte e di quella Risurrezione.
Non si tratta di rimanere esterni al fatto o di ricordare
da lontano.
Sto salendo con il cuore in gola: vado a vedere il roveto
ardente, che brucia e non si consuma: sono passati quasi
duemila anni e ancora arde.
Arde ancora sul monte il mistero di quella carne del Figlio
dell'Uomo, "Figlio della dolente, Figlio bianco e vermiglio,
Figlio senza simiglio
Figlio dolce e piacente".
L'EMOZIONE DELL'ESTATE
La carne è ancora illuminata. Non è spenta,
arde oggi per te. Come ti sembra di capire ogni volta che
ti perdi a contemplare una Crocifissione.
Mi è capitato quest'estate, all'Eremo di S.Salvatore,
sopra Erba, dove mi trovavo per un Corso di Esercizi.
Un affresco antico, attribuito a Michelino da Besozzo (1390?)
illumina la parete.
Diafano
su cielo nero
è il tuo corpo crocifisso
Gesù Salvatore.
Trasparente
come un'alba,
tenero come il corpo
di una donna.
Vuoto
di sangue
solo lo illumina amore.
Al
di là del portale
stupito dell'amore e del sangue
canta
alla tua morte un fringuello
perdutamente.
Noi
ti guardiamo e il cuore
più non conosce paura.
L'EMOZIONE DELL'INVERNO
Salgo
a Gerusalemme e quest'anno ho in cuore una luce diversa.
E come vorrei che mi fosse dato, in virtù di questa
luce, di celebrare in verità la Pasqua del Signore.
Perché la Pasqua, come ogni altro mistero, può
essere celebrata purtroppo anche nella falsità o
nella distrazione della vita.
A richiamarmi in questi giorni alla Pasqua in tutta la sua
limpidezza è la morte di un amico.
Ne hanno parlato i giornali. Era un amico. Con lui ho condiviso
un pezzo del mio cammino di prete. Allora aveva ventisette
anni, oggi quarantacinque.
Morto, accoltellato al cuore in una sera qualunque di febbraio,
anche lui, come Gesù poco fuori la città,
in una strada qualunque, presso la Cascina, da lui voluta
perché ai ragazzi - dopo lo spaesamento totale della
droga - fosse dato sostare in una casa, come un giorno ai
due discepoli al calar del sole presso la locanda di Emmaus,
e ritrovare così se stessi e poi ritornare, vinta
la morte nel cuore, alla città.
* * *
Ora
la città si interroga. Il cuore si interroga.
"E' un segno evangelico per noi e per il nostro tempo":
dice il nostro Arcivescovo, visibilmente commosso, alla
gente assiepata nella chiesa parrocchiale, alla periferia
di Busto.
Avevo osservato poco prima la gente sfilare ininterrottamente,
in silenzio, davanti alla bara e toccare e segnarsi, come
si fà per i santi.
Un segno evangelico, un segno della Pasqua.
Accoltellato al cuore da un giovane psicopatico, uno di
quei volti amici, dietro i quali don Isidoro perdeva ore
ed ore, giornate e mesi. Anche quel giorno aveva parlato
per ore con Maurizio nella sagrestia della chiesa.
Accoltellato e non per caso. Che Maurizio, ancora una volta
alterato, stesse per venire da lui con un coltello, la mamma
del giovane l'aveva per telefono preannunciato, mettendolo
in guardia.
E Isidoro uscì. Non una ma due volte. Uscì
sapendo, uscì liberamente. Nella notte. Come il Signore
uscì. Uscì sapendo, uscì liberamente.
E si consegnò. Nella notte.
* * *
Isidoro,
per come l'ho conosciuto, era un prete che puntava all'essenziale,
fino ad apparire qualche volta "via", via con
i suoi pensieri, quasi la sua mente fosse altrove.
Era come "straniero", nel paese delle nostre banalità,
delle nostre piccinerie, dei nostri compromessi.
Mi hanno sempre affascinato, e un po' anche inquietato,
quei suoi occhi che erano altrove, quasi fissassero a volte
un oltre, un "Altro".
E ora mi sembra di capire meglio. Di capire che il suo paese
vero era la Pasqua del Signore: gli occhi erano là,
a contemplare il Signore della Croce e quella scritta che
potrebbe essere disegnata ai piedi di ogni crocifissione:
"Nessuno ha un amore più grande di colui che
dà la vita per i suoi amici".
* * *
L'emozione
dell'estate. L'emozione dell'inverno: il martirio di Isidoro,
luogo privilegiato per accedere alla verità della
Pasqua.
Fissare l'affresco della Croce e sentirti salvato da quella
carne, in cui arde lo Spirito. Da nessuno e da nient'altro
salvato.
Fissare Isidoro, il suo martirio e capire che la Pasqua
non ci basterà celebrarla una volta all'anno, nella
notte della Veglia, nelle chiese. E' da celebrare per tutto
l'anno, nelle notti della vita, ripetendo il gesto del Signore:
abbandonandosi, compromettendosi, esponendosi, rischiando
le mani degli uomini.
Non sai, non saprai mai che cosa faranno di te le mani degli
uomini, quando ti sarai loro consegnato.
LA DIFFERENZA
Abita
nella Parola della Croce una logica che fa la differenza
del cristiano.
Se questa logica, agli antipodi di giudizi e costumi oggi
dominanti, si andasse cancellando o attenuando, impallidirebbe
e svanirebbe il cuore stesso del cristianesimo.
Quando tu leggerai queste note, non so che cosa ne sarà
stato della guerra del Golfo.
Per me questa guerra è stato lo svelamento di ciò
che avevamo nel cuore.
Quando tutto sarà finito, sapremo fare memoria?
Più volte nei giorni della guerra mi è capitato
di mettere a confronto con la logica della Croce ciò
che stava avvenendo, i discorsi e i giudizi che accompagnavano
la tempesta nel deserto.
Scorretta era indubbiamente la pretesa di dedurre in modo
immediato dal Vangelo, con una lettura fondamentalista,
la giustezza di alcune scelte politiche o di altre.
Ma questo non era l'aspetto più inquietante. Inquietante,
fino a gridare al cospetto di Dio, era la nostra mentalità,
erano i nostri giudizi, le nostre dichiarazioni.
Pagine e pagine di Vangelo cancellate, quasi fosse la loro
lettura pio esercizio da riservare, per la consolazione
del cuore, alle nostre chiese. Fuori la logica è
diversa.
Quasi che il richiamo biblico a non imitare il violento
o il monito a non pretendere di togliere la pagliuzza dall'occhio
del fratello in presenza della trave nel nostro o il comando
a perdonare e ad amare il nemico fossero pagine senza senso
o quanto meno ininfluenti: astrattezze da ignorare.
"L'orgoglio della potenza " - ha scritto "l'Osservatore
Romano" - "prevalso sulla compassione per l'uomo".
Sì, abbiamo misurato, fino a sentircene schiacciati,
l'assenza della compassione per l'uomo: dico, senza aggettivi,
l'uomo per il solo fatto di essere uomo, al di là
di ogni appartenenza, l'uomo immagine del Dio vivente.
Abbagliati dello spettacolo della guerra! Per ore ed ore
ci hanno fatto ammirare gli aerei che si alzavano e che
facevano ritorno, quasi fieri della loro bellezza.
Che cosa poi fosse avvenuto nella carne dell'uomo o nelle
case degli uomini a seguito di quelle operazioni non era
importante sapere, era casuale, era abilmente nascosto.
Non c'è posto per la compassione per l'uomo.
C'è bisogno di salire, Signore. C'è bisogno
di salire a Gerusalemme. E lavarci gli occhi e il cuore
a quello che la Bibbia osa chiamare il vero "spettacolo"
(Lc. 23, 48).
Lo spettacolo che i veri credenti dovrebbero avere sempre
negli occhi, lo spettacolo della Croce. Lo spettacolo della
tua compassione, Signore, per l'uomo.
don
Angelo
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