DOPO
LA RISURREZIONE QUALI TRIONFI?
Non
è sempre facile sottrarsi al rischio dell'ambiguità
e del fraintendimento.
Può succedere che l'ambiguità attraversi perfino
le parole religiose dei credenti e le omelie devote dei
pastori: l'ambiguità, per esempio, di separare inconsciamente
Croce e Risurrezione.
Se le disgiungi, Croce e Risurrezione diventano luogo di
fraintendimento: risorto per la Bibbia è il Crocifisso.
L'equivoco che può celarsi tanto nelle parole dei
credenti quanto nelle omelie dei pastori è quello
di ritenere che l'ora della croce rappresenti, alla fin
fine, un incidente di percorso: viene poi la risurrezione
e allora il corso cambia.
Come se la via dello "svuotamento di se" che ha
preso figura incancellabile sulla croce fosse da togliere
presto dagli occhi e fosse da sostituire con immagini diverse:
di trionfo.
Come se ai giorni del silenzio, della tenerezza del dono,
della dedizione incondizionata di sé, stessero ora
per succedere i giorni della celebrazione del successo,
dell'urlo di vittoria, dell'ostentazione della forza.
Come se si inaugurasse un altro stile finalmente: uno stile
vincente, trionfante.
IL
SEGNO CHE RIMANE
Il
Cristo risorto non viene sbandierando segni di potenza:
mostra le mani e, nelle mani, il segno dei chiodi; mostra
il costato e, nel costato, la trafittura della lancia.
Questi e non altri - sembra dire - sono i segni dei credenti,
questa e non altra la vittoria. Non si inaugura nessuna
altra via; si riconferma, con l'autorevolezza del sigillo
di Dio, la via della donazione.
A volte mi chiedo da quale immaginario vengano le raffigurazioni
del risorto che lo vedono uscire dal sepolcro ricoperto
di trofei di vittoria, quando il Vangelo non ha nessun accenno
a sortite clamorose.
Ma forse è solo la nostra mente malata, così
dura a staccarsi dai miti dei trionfi umani, a immaginare
la risurrezione come l'avvento di un "deus ex machina",
che, finiti i tempi del suo donarsi silenzioso agli uomini,
assume i toni di chi intenda farla pagare ai nemici.
LA
LUCE DISCRETA
La
luce della risurrezione, quella che traspare dai racconti
del Vangelo, non è una luce abbagliante, è
una luce mite e discreta, che riposa sui volti.
Il risorto non ha i tratti del potente vittorioso: arriva
di nascosto, entra sommesso nella casa, senza scardinare
le porte: sosta, quasi irriconoscibile, nel giardino, attende
in incognito sul litorale del lago.
Non si impone e non occupa: si manifesta, scompare e riappare:
le sue non sono manifestazioni rumorose o fragorose. Non
promette cose, promette lo Spirito. Non assicura traversate
tranquille, assicura la sua presenza: "Io sarò
con voi".
IL
DELIRIO DELL'ONNIPOTENZA
Posso
sbagliarmi, ma la sensazione che oggi patiamo è di
una certa discrepanza tra la luce discreta del Risorto e
il delirio dell'onnipotenza dei moderni credenti. Sono le
nostre chiese fedeli alla luce buona e discreta della risurrezione?
o non vanno inconsciamente sognando i giorni della rivincita,
dell'umiliazione dei nemici, dei ribaltamenti clamorosi?
Forse che non c'è già nell'aria troppo rumore,
un eccesso di proclamazioni? E il pericolo non è
quello di rimanere sommersi da una colluvie non più
sopportabile di documenti?
DOCUMENTI
O PRESENZE ?
Se
il nostro tempo lo consumeremo a stendere documenti o a
proclamare dai palchi, chi sosterà nel giardino di
tutti i giorni là dove una donna piange, a chiedere
il perché del suo pianto? Chi si accompagnerà
agli uomini che fuggono dalla città, interrogando
silenziosamente la loro tristezza? E chi si accorgerà
della stanchezza sul volto dei pescatori, che ritornano
a riva con le reti vuote, dopo notti di fatica sul lago?
Chi ritornerà nonostante tutto nei nostri cenacoli,
senza scandalizzarsi di questa generazione segnata dal dubbio
e dall'ansia della ricerca, a mostrare unicamente il segno
dei chiodi?
Il risorto si faceva ora giardiniere, ora pellegrino, ora
uomo qualunque, dentro le storie quotidiane, a sostenere
la speranza.
Dunque come credenti, nei percorsi quotidiani. E non a sognare
chissà quali successi o vittorie, non a immaginare
improvvisi ribaltamenti.
Anche dopo la risurrezione rimane la sfida del vivere, rimane
la lentezza dei nostri cammini, rimane la fatica di decifrare
il futuro. Ma rimane, nel cuore, la consapevolezza di non
essere soli lungo le strade della storia: il Vivente in
incognito cammina al nostro fianco. Ancora oggi viene, in
modo sommesso, a porte chiuse, senza scardinare.
E' nella voce che ti interroga: "Perché piangi?".
E' nella tenerezza di chi si accorge della sua stanchezza.
E' nella pazienza di chi ti aiuta a leggere, in un disegno
a largo respiro, la tua vita. E' nell'invito a far ritorno
con coraggio alla città da cui saresti tentato di
fuggire.
E' il Primo e l'Ultimo. E' il Vivente. Pur se ci rimane
il peso di un'ombra che nemmeno la risurrezione ha dissipato.
Ma un giorno vedremo il suo volto. E dunque tieni desta
la speranza.
don
Angelo
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