LA
BAMBINA E LA GRANDE CITTÀ
È un male oscuro.
E come vorrei che la chiesa oggi avesse la sensibilità
di Gesù per accorgersene, la sua tenerezza per commuoversene,
il suo amore per sollevare chi ne porta il peso.
Penso al male oscuro delle nostre città.
Se di questo male sono poi malati anche i bambini, se anche
i loro piccoli volti indifesi ne portano amaramente i sintomi,
segno è che la malattia è grave.
TENERI
GERMOGLI
Questa
nota amara ha inizio con la storia di una bambina, uno dei
tanti volti incancellabili che fanno la mia vita di parroco
nella città: le mie giornata sono per lo più
emozioni patite dietro un volto.
Che una bambina di quarta elementare, con un'ombra marcata
di tristezza negli occhi, venga a confessarti la sua "stanchezza",
già sembra cosa fuori di ogni normalità: fuori
tempo.
Ancor più fuori tempo -fuori del tempo dei suoi dieci
anni- è, a mio avviso, la ragione della stanchezza.
"Perché sei stanca?" -le chiedo- "Forse
hai troppe cose da fare?". Risponde: "No, ho tanti
pensieri!".
E non è per modo di dire. Né è una
moda. Potrebbe esserlo forse più avanti negli anni;
non ora. Ti assicuro che i pensieri ci sono e sono tali
da pesare sul cuore.
Avere dieci anni e avere già tanti pensieri che ti
fanno stanco il cuore!
Che il male oscuro abbia già preso i teneri germogli?
IL
MALE CHE INTRISTISCE
Ci
basterà forse godere per le città dell'Est?
Il male oscuro che le incupiva sembra essere stato definitivamente
rimosso.
Immuni da male sono forse le città dell'Occidente?
O non si annida in esse un altro male? E fino a che punto
minore?
E non sarà -me lo chiedo- un male ancor più
pericoloso, perché nascosto sotto le immagini scintillanti
di una società che presuntuosamente si va dicendo
liberà?
Quale dunque il male oscuro della città, il male
che intristisce i germogli?
Sarà bene che chi ebbe in sorte una luce, ora più
che mai non la nasconda sotto il moggio, ma la innalzi a
interpretare i segni dei tempi.
Parlando ai rappresentati del Corpo diplomatico, accreditato
presso la S. Sede, per lo scambio degli auguri per il nuovo
anno, Papa Giovanni Paolo II disse: "Troppo spesso,
purtroppo, le democrazie occidentali non hanno saputo fare
uso della libertà, conquistata in passato a prezzi
di duri sacrifici. Non si può fare a meno di rammaricarsi
della deliberata assenza di ogni riferimento morale trascendente
nella gestione delle società dette "sviluppate".
Accanto agli slanci generosi di solidarietà, ad una
reale preoccupazione per la promozione della giustizia ed
a una costante preoccupazione per il rispetto effettivo
dei diritti dell'uomo, è necessario costatare la
presenza e la diffusione di controvalori quali l'egoismo,
l'edonismo, il razzismo e il materialismo pratico. Non bisogna
che i nuovi arrivati alla libertà e alla democrazia
siano delusi da coloro che in qualche modo ne sono i "veterani".
Tutti gli europei sono provvidenzialmente chiamati a ritrovare
le radici spirituali che hanno fatto l'Europa".
L'IDOLO VANO
Se
fa paura un mondo in cui uccisa è negli occhi l'immagine
di Dio, non fa meno paura un mondo in cui brilla l'immagine
di un idolo e gli si da il nome di Dio, il nome di colui
che è al di sopra di ogni cosa.
Sopra ogni cosa oggi sembra essere la religione del denaro,
del successo, del prestigio sociale, del potere. Sopra ogni
cosa, e quindi Dio. In effetti Dio, perché le scelte
sono in funzione del nuovo idolo. Tutto il resto è
dopo; conta ma relativamente. È relativo all'altro,
il vero tiranno.
E per che cosa infatti si corre? Da mattina a sera. Si dice:
per vivere. Ma è questo un vivere?
E non sarà forse tempo che ci si chieda, prima che
non sia troppo tardi, prima che si ammalino i germogli,
se non si potrebbe vivere anche di meno cose e avere tempo
per dirsi nelle case che cosa è vivere o chi è
il vero Dio della tua vita?
E non stiamo forse pagando tutti insieme lo scotto di questo
correre, insaziabili?
Lo scotto è questa insofferenza che si morde la coda:
un amico la chiama "stress da superfluo".
Lo scotto è la tristezza negli occhi dei bambini:
siamo poi così sicuri che il vero modo di farli felici
sia riempirli di cose? O non sarà invece "perdere
tempo" a raccontare loro un'altra sapienza, quella
di coli che un giorno colpì l'uditorio, dicendo che
"dà più gioia il dare che il ricevere"?
Ma oggi insegniamo ancora ai bambini e ai giovani la lezione
del dare? Insegniamo loro la gioia?
PROFEZIA
O PRAGMATISMO?
Forse
è questo il male oscuro. Non è tanto forse
una società di idoli, ma il fatto che gli idoli oggi
non siano più smascherati.
E ancor più il male è che tanta idolatria
si sia furtivamente introdotta anche nelle nostre comunità,
dove, al di là delle belle parole, si inseguono gli
stessi identici modelli e si perseguono gli stessi identici
obiettivi.
Tant'è che il successo della Chiesa -inconsciamente
forse- lo andiamo troppo spesso valutando in termini di
riconoscimenti sulle piazze dell'umanità e non più
in termini di profezia. Con il pericolo -forse non più
teorico- che a dettare le nostre scelte quotidiane, non
sia più l'"oltre" del Vangelo, ma un freddo
pragmatismo, colorato di religione.
Abita ancora la profezia nelle nostre case? O il modello
è quello dominante?
Acutamente il nostro Arcivescovo agli uomini e alle donne
in ricerca, riuniti per una proposta fondamentale della
fede in Duomo, citando il filosofo Norberto Bobbio, diceva
che "la differenza rilevante non è tra credente
e non credente, ma tra pensante e non pensante, tra chi
riflette sui veri perché e chi è indifferente.
La specie degli indifferenti è quella di gran lunga
più numerosa e si trova tanto fra i credenti quanto
fra i non credenti".
Mi sia permesso aggiungere che è questa specie -a
mio avviso- che fa tristi gli occhi dei bambini nella grande
città. Grande la città, ma senz'anima.
ESSERE
CHIESA NELLA GRANDE CITTÀ
Essere
chiesa nella grande città, quale altro significato
può assumere se non quello di un anelito ad essere
spazio di pensiero, di attenzione, di profezia, anelito
ad essere semplicemente e insonnemente anima della città?
Senza presunzione. In forza di un Vangelo che ci è
stato donato, dal quale siamo stati affascinati e afferrati.
Senza presunzioni e senza pessimismi.
Per riandare a un'immagine biblica cara al nostro Arcivescovo,
la nostra città, la grande città, è
più Ninive che Babilonia, cioè una città
che, nonostante le apparenze, ancora sa ascoltare, popolata
di uomini e donne ancora in ricerca.
Importante è dunque intuire dove volge l'attesa.
PER
VOCAZIONE PELLEGRINO
Padre
Turoldo in un suo intervento, come al solito carico di luce
e di provocazione, si "Repubblica" la vigilia
di Pasqua, commentava amaramente: "L'esodo dalla città
mi fa pensare che l'uomo sia diventato un beduino in cerca
di chissà che cosa. Più che consumista, mi
sembra consumato. In fuga soprattutto da se stesso".
La città consumata. La bambina consumata, i suoi
occhi tristi e stanchi, Padre David.
E questa fuga dalla città, che forse è pure
ricerca. Tu sai, David, che cosa sia la dimora del silenzio;
tu all'ombra dell'Abbazia sul monte.
"E nel silenzio ancora il Verbo
cui fa eco un vento
leggero leggero".
E questa fuga che sa di ricerca, pur che non sia una fuga
da se stessi. E tale sarebbe se ce ne fuggissimo a ripetere
gli stessi riti di una città vuota di senso.
E fossimo, David, fossimo tutti un po' beduini, in cerca
di qualcosa.
La peggiore delle avventure è non essere in cerca
più di niente e di nessuno.
Ci rimanesse un cuore beduino. Come è scritto:
"Per grazia di Dio
sono uomo e cristiano,
per azioni grande peccatore,
per vocazione pellegrino
della specie più misera,
errante di luogo in luogo.
I miei beni terrestri
sono una bisaccia sul dorso
con un po' di pane secco
e, nella tasca interna del camiciotto,
la Sacra Bibbia.
Null'altro".
(da "I racconti del pellegrino russo")
don
Angelo
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