"...E
TU AVANZAVI NELLA PEREGRINAZIONE DELLA FEDE"
Le
sere si stanno intepidendo, quasi un invito a uscire e a
sostare.
E' scritto nell'aria che è maggio. Maggio di un anno
che il Papa ha dedicato a Maria, la Madre del Redentore.
Mi viene spontaneo parlarne: povere parole le mie in mezzo
a testimonianze tenerissime che ne hanno illuminato lungo
i secoli il volto.
Dopo quello del suo amatissimo Figlio, nessun volto fu così
intensamente fissato, nessun volto così devotamente
vegliato, nelle notti, dal fioco lume di una lucerna.
Non è chiesa e quasi non è casa dove non ti
succeda di incrociare una sua immagine.
*
* *
E
forse più che parlare di lei, vorrei parlare a lei
questa sera -parlare o pregare?- nella certezza che anche
la mia povera voce sarà custodita nel suo cuore.
La medesima certezza di essere ascoltati riuniva un tempo
altri figli nella penombra della vecchia casa, accanto alla
brace rossa del camino, dove i vecchi intonavano le "Ave
Maria" e i bambini inseguivano con occhi stupiti scintille
di fuoco crepitanti lungo la cappa del camino
*
* *
A
volte mi chiedo che cosa pensi di noi, o Madre. Di noi che
non affolliamo più a maggio le chiese e che non abbiamo
tempo la sera -troppo ci seduce la televisione!- di mormorare
qualche "Ave Maria".
A volte mi chiedo se non preferivi i tempi antichi, quando
per le strade uscivi in processione, tra le ghirlande di
fiori e nuvole di incenso, il popolo osannante, il manto
impreziosito di gioielli e la corona di regina sul capo.
Ora ti è quasi precluso l'accesso sulle grandi vie,
dove si corre per cose ben più "grandi"
e "importanti". Ti si fa strada al contrario su
viuzze più anguste e modeste, dove le case ancora
si parlano teneramente l'una all'altra, perchè non
disturbate dal rumore.
Neppure tu disturbi, Vergine del silenzio.
*
* *
Tu
mi perdonerai se oso dirti -come madre già avrai
letto i pensieri del cuore- che non soffro, più di
tanto, la mancanza delle grandi solenne processioni.
A volte ti osservavo, e mi sembrava che tu dolcemente sorridessi
a queste nostre strane manie di vestirsi da regina.
Anzi più di una volta mi è capitato di immaginare
che tu nel pensiero riconoscessi le tue povere vesti, vesti
di ragazza qualunque di un paese qualunque, così
come a Papa Giovanni, seduto "solennemente" sulla
sedia gestatoria, il pensiero correva alle spalle robuste
di suo padre, quando, la sera, nella gerla portava l'erba
falciata e insieme il suo piccolo figlio, di ritorno dai
campi.
*
* *
A
volte capita anche a me di rimanere assorto a contemplarti
nelle vesti incantevoli di cui ti hanno ornato gli artisti
di ogni terra lungo i secoli.
"Tutte le genti" -avevi cantato- "mi diranno
beata".
Ma ti confesso che mai così a lungo e così
intensamente ti ho contemplata come nell'incanto povero
di un affresco, eroso dal tempo, dove la tua figura spegneva
ogni accesso fulgore e parlava ininterrottamente, sommessamente,
con l'intensità e il silenzio di un volto.
*
* *
È
come se mia Madre fosse restituita alla sua casa, alle sue
strade, alla sua fontana, al suo frantoio, alla sua anfora,
alle sue cose.
Le tue povere umili cose che ancora custodiscono il profumo
della vera Nazaret.
Quasi a nulla o poco di te, al contrario, è custodito
nella ostentata, mastodontica magnificenza dalla basilica
dell'Annunciazione, quasi nulla o così poco della
tua umiltà e semplicità.
E così restituita alla verità della tua storia,
a una abitazione -la tua- ove il miracolo non era di casa
-lo è solo nelle accese fantasie di certi oratori!-,
la devozione al tuo nome anziché scolorire, va silenziosamente
accendendo significati e profondità nel cuore dei
credenti.
*
* *
Sì,
tu, la prima dei credenti, "beata perché hai
creduto". Questa e non altra la tua abitudine. Una
beatitudine da vivere e da faticare ogni giorno.
Anche tu figlia di Abramo, il padre dei credenti, chiamato
ad uscire da una terra di ovvietà.
Certo meno faticoso e meno rischioso sarebbe stato per te
avere un figlio o uno sposo come tutti, meno provata quotidianamente
la tua fede.
Andare invece come Abramo verso una maternità che
sa di terra lontana e credere -come Abramo e Sara, la donna
dal grembo vuoto- che in un grembo possa fiorire l'impossibile!
*
* *
E
quotidianamente reggere, senza venire meno, alle apparenti
smentire di quell'incredibile annuncio cui avevi creduto.
E chiamare Figlio dell'Onnipotente un figlio nato in una
grotta; chiamare Figlio dell'Altissimo un figlio braccato,
cercato a morte e scampato nella notte; e chiamare Verbo
di Dio un bimbo che non sa parole se non quelle che tu amorevolmente
gli metti sulle labbra.
Sorprendere in quegli occhi una luce che è nuova,
ma così difficile da abbracciare nel suo orizzonte
ultimo. E anche tu, come Giuseppe, partire la tristezza
di non capire un figlio. "Non compresero" -è
scritto- "le sue parole" (Lc. 2,50).
E tu, nonostante le apparenti smentite, avanzavi ogni giorno,
come scrive il Concilio (L.G. 58), "nella peregrinazione
della fede", un cammino così simile, per la
difficoltà, il buio e l'angoscia, al nostro. Tu come
noi, ma più forte e più beata di noi.
*
* *
E
salire anche tu a Gerusalemme; anche tu finalmente illuminata
circa l'ora del tuo Figlio. A volte te ne parlava: "Donna,
non è ancora giunta la mia ora".
E, giunta all'"ora" -come era possibile, eppure
ti è riuscito!- resistere a credere che la promessa
si stava avverando: "Il Signore Dio gli darà
il trono di Davide suo padre e regnerà per sempre
sulla casa di Giacobbe e il suo regno non avrà fine"
(Lc. 2,33).
E chiamare quel grumo di sangue Figlio di Dio vivere e chiamare
quella croce trono di Davide, chiamare la debolezza e lo
svuotamento "potenza e sapienza di Dio".
*
* *
Senza
manti e senza regali ti sentiamo più vicina alla
nostra condizione di pellegrini della fede, più vicina
alla fatica e alla gioia di affidarci ogni giorno alla Parola
che viene dall'alto, più vicina nelle ore in cui,
come ai santi, anche noi sembra di sedere alla mensa dei
non credenti.
Più vicina ogni volta che usciamo dalle terre dell'ovvietà
per andare nella terra che ancora non ha figura, se non
nella luce degli occhi di Dio.
Più vicina al nostro desiderio, oggi così
ardente, di uscire dai nostri cenacoli chiusi e di scendere
come Filippo sulla strada che sembra deserta e salire, come
lui, sul carro da viaggio dei moderni viandanti, nell'ora
del giorno più assolata, e insieme leggere il libro-
forse quello della vita- e scoprire che si illumina alla
Parola del tuo Figlio.
*
* *
"Beata
te che hai creduto, o Maria".
Sostienici, come Madre, nel nostro avanzare -tra luci e
smarrimenti- nella peregrinazione della fede.
Anche la nostra peregrinazione conosce, come la tua, "una
particolare fatica del cuore, unita a una sorte di "notte
della fede"- per usare le parole di S. Giovanni della
Croce -, quasi un "velo" attraverso il quale bisogna
accostarsi all'invisibile e vivere nell'intimità
col mistero" (Redemptoris Mater, 17).
*
* *
Insegnaci
il tuo segreto.
Non desistere mai dal ricordarlo instancabilmente alla nostra
smemoratezza.
Il segreto registrato nel Vangelo di Luca (2, 19 e 51):
"La madre" -è scritto- "conservava
tutte queste cose nel suo cuore".
Questo nostro cuore, o Madre, che, come il tuo, deve ritornare
ad essere luogo del ricordo e della meditazione, luogo dove
prolungare l'eco della parola di Dio e l'eco degli avvenimenti
della terra, luogo in cui confrontare pazientemente le esperienze
e pazientemente illuminarle, luogo in cui con libertà
di spirito discernere nel presente e insieme progettare
il futuro, luogo in cui sorprendere la voce del Maestro
interiore, quel Figlio amato da cui tu per prima ti lasciasti
educare.
Amen.
don
Angelo
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