SOGNARE
AD OCCHI APERTI
Capita
forse anche a voi di fare sogni ad occhi aperti e forse
anche di pentirvene subito dopo, quasi ravvisando nel sogno
una sorta di colpa o che so io un velo di debolezza, quasi
fosse un cedere a una forma sottile di evasione o di irrazionalità,
tanto più sconveniente in tempi come i nostri che
si vanno ostentatamente segnalando come i tempi di un sano
e rigoroso "realismo", tempi decisamente inospitali
per che ha l'animo del sognatore impenitente.
E nessuno di conseguenza che più osi confessare -se
non forse ad un amico- di aver sognato ad occhi aperti.
Forse anche per questo, non senza sorpresa ed emozione,
sfogliando i quotidiani alla fine di gennaio, trovai annotato
-per la verità più su quelli "laici"
che su quelli dichiaratamente cattolici- che il nostro Arcivescovo,
parlando ai giornalisti, aveva confidato di inseguire spesso
un sogno.
Questo -ti dirò- faceva sì che si sentisse
in buona compagnia anche uno come me cui vanno decisamente
stretti i panni del "sano realismo" o come si
suole dire "i piedi per terra".
Se già il fatto che un Arcivescovo sognasse mi riempiva
il cuore di gioia, ancor più mi affascinava il contenuto
del sogno: più volte infatti mi ero sorpreso a inseguire
nel desiderio, ad occhi aperti, ciò che lui stesso
ora confessava di desiderare.
IL
SOGNO DELL'ARCIVESCOVO
Ma
forse è ora che la mia lunga digressione sui sogni
lasci spazio finalmente alle parole dell'Arcivescovo che
disegnano percorsi a lungo vagheggiati nel cuore:
"In questi anni ha preso piede l'abitudine degli incontri
col Vescovo al primo giovedì di ogni mese in Duomo.
Negli ultimi due anni, lasciando che i giovani moltiplicassero
l'iniziativa nell'ambito della diocesi, io mi sono dedicato
soprattutto ai membri dei Consigli Pastorali per aiutare
a far camminare questa fondamentale struttura di base della
Chiesa.
Nel prossimo anno mi piacerebbe cambiare pubblico (anche
per evitare il rischio di codificare, di entrare nelle carreggiate
ordinarie). Penso, forse è un sogno, a qualcosa che
avesse il carattere di dialogo al di fuori, offerto a tutti
coloro che hanno interrogativi di fede. Idealmente, come
titolo paradossale, potrebbe avere quello di "cattedra
dei non credenti", dove però non deve spaventare
l'accezione di cattedra, quasi si volesse fare una cattedra
in cui insegnare ai non credenti. Piuttosto una cattedra
su cui salgono coloro che hanno problemi di fede e li espongono,
a partire da me; perché ciascuno di noi ha degli
interrogativi, magari ancora un po' sopiti, che debbono
emergere.
Una cattedra in cui possano emergere le reazioni istintive
che ciascuno di noi come persona ordinaria, ha di fronte
alle realtà di fede; non per trovare subito l'ultima
risposta immediata, ma per scioglierle e poi per incanalarle
o un approfondimento di che cos'è la realtà
umana e in che maniera essa viene illuminata sia dall'Evangelo
(dal di fuori) sia dal Maestro interiore (dal di dentro)".
UN
RISCHIO
Vorrei
ora solo chiosare -spero non tradendone il significato profondo-
le parole dell'Arcivescovo.
Esse denunciano un rischio che, più o meno lucidamente,
tutti avvertiamo, un rischio da cui nessuna comunità
è esente: quello di "codificare e di entrare
nelle carreggiate ordinarie".
A tal punto assillati, anche nelle iniziative pastorali,
dalle cose che già normalmente si fanno, rimane poco
spazio all'invenzione, alla fantasia, all'immaginazione
dello spirito: si diventa così gestori senza fantasia
dell'esistente e poco inquieti esploratori di vie nuove.
Il pericolo -ci fa capire l'Arcivescovo- è quello
di consumare pressoché totalmente il nostro tempo
in un'opera defatigante di bricolage, alla ricerca di un
equilibrio tra attività che hanno per interlocutori
per lo più persone che già frequentano le
nostre chiese, con il rischio di lasciare tristemente sguarnito
o quasi, l'orizzonte di coloro che più non le frequentano;
sguarnito o quasi l'orizzonte del "dialogo al di fuori".
"Penso" -dice l'Arcivescovo- "-forse è
un sogno- a qualcosa che avesse il carattere di dialogo
al di fuori, offerto a tutti coloro che hanno interrogativi
di fede".
È un andare "fuori le mura", se "fuori
le mura" significa fuori delle nostre cittadelle protette
e fortificate; o un andare "dentro le mura", se
"dentro le mura" significa dentro la vera città
dell'uomo, non in oasi privilegiate: dentro lo spessore
umano dei problemi, dentro il cuore di questa generazione
che ci appartiene e cui apparteniamo.
LA
"CATTEDRA DEI NON CREDENTI"
Un
sogno dunque che sempre più ci sorprendiamo a inseguire
è questo del "dialogo al di fuori".
"L'interrogativo di fondo" -scrive Mons. Luigi
Sartori nell'introduzione a un libro di analisi di una parrocchia
italiana- "diventa il seguente: le nostre parrocchie
sono veramente organizzate per arrivare anche ai "lontani",
a coloro che si trovano in un processo di allontanamento
o di avvicinamento? o sono soltanto o principalmente organizzate
per custodire e proteggere i prossimi e i vicini?".
Muove di qui il sogno: il sogno di questa fascinosa "cattedra
dei non credenti".
Come dare corpo al sogno? Basta forse che sia uno solo a
sognare?
Qualcuno ha scritto che se un sogno sono solo io a sognarlo
rimane tale, ma se a sognarlo siamo in molti comincia a
diventare realtà.
CUSTODIRE
LA STRANEZZA
Dunque
la cattedra dei non credenti: una cattedra, per la verità,
decisamente "strana"; a tal punto strana, che
se cade la sua stranezza, cade la cattedra stessa.
Ognuno ripercorra con attenzione le parole dell'Arcivescovo
e troverà sottolineata la "stranezza" da
salvaguardare con passione e vigilanza.
Dove la stranezza?
È una cattedra dove non saliamo noi ad insegnare
ai non credenti: dunque è uno stile da inventare,
o quasi, dentro di noi -dico nel cuore e nella comunità-
perché le cattedre che conosciamo sono per lo più
cattedre da dove insegnare. Nostra vocazione sembra essere
esclusivamente quella di parlare; quasi sconosciuta invece
quella di ascoltare.
"Una cattedra in cui possano emergere le reazioni che
ciascuno di noi, come persona ordinaria, ha di fronte alle
realtà di fede".
Strana anche la cattedra perché non conosce la pretesa
del "tutto e subito": la fede o ce l'hai o non
ce l'hai: o sei dentro o sei fuori; o sei dei "nostri"
o non sei dei "nostri".
Si sale a questa cattedra "non per trovare subito l'ultima
risposta immediata ma per sciogliere (le reazioni istintive)
e poi per incanalarle verso un approfondimento di che cosa
è la realtà umana".
Strana la cattedra, perché tra i cosiddetti "non
credenti", quasi uno di loro, sale anche un Arcivescovo:
lui stesso infatti si pone tra coloro che perennemente si
interrogano e sono in ricerca.
Mi affascina la cattedra e mi affascina l'Arcivescovo e
inseguo da lontano il suo sogno.
Ognuno di noi purtroppo può forse nel cuore richiamare
volti e volti di uomini e donne che se ne sono andati, quasi
respinti dalle nostre false sicurezze, dalle nostre corpose
arroganze; ma ognuno di noi, per grazia, può anche
dolcemente evocare volti e volti di uomini e donne ritrovati
in un cammino comune, quasi riconciliati da quella immagine
di chiesa -chiesa di viandanti- nata nei giorni di vento
-il vento dello Spirito- durante la primavera del Concilio.
don
Angelo
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