LA
METROPOLI DEL MALVIVERE?
Ho incominciato ad amarla.
come se non fosse un agglomerato di case che attentano al
cielo o un intrico di strade invase da serpentoni di traffico.
O forse anche questo, ma molto più. Come se fosse
una persona, una creatura inconfondibile.
E' la mia città. E' questa grande città. Questa
e non altra: siamo tutti capaci di incantarci davanti alle
città degli altri, davanti al prato verde del vicino.
A tal punto la amo che mal sopporto i giudizi affrettati,
a volte sommari, spesso frutto di rozze semplificazioni,
che liquidano brutalmente questa città.
CITTA' SENZ'ANIMA?
I
giornali sono al punto di definirla "città senz'anima",
paese dunque dell'aridità, terra senza cuore, e dunque
senza salvezza. Il giudizio è liquidatorio e senza
speranza.
"E la capitale morale si svegliò senz'anima.
Così Milano è diventata la metropoli del malvivere".
Così i giornali laici. Quasi senza speranza.
Ma spesso nel coro - nel coro senza speranza - trovi accomunati
anche i nostri ambienti ecclesiastici: le diagnosi sono
sempre più al negativo.
Quasi la città non ci appartenesse, quasi non fosse
creatura amata: per una creatura amata proveresti sempre
un trasalimento del cuore, un brivido tenero di speranza.
E questa lettera dell'Arcivescovo! "Alzati, va a Ninive,
la grande città!".
Capita a noi "credenti" di attraversare la città
alla maniera del primo Giona, cioè senza fiducia.
(Piccolo è il libro di Giona nella Bibbia. Lo si
legge d'un fiato. Quattro brevi capitoli. Ma affascinanti.
Lettura per l'estate?).
Il nostro è un andare per la città giudicandola
senza remissione, come fa Giona. Forse anche quando vi passiamo
con le nostre processioni.
E se il Signore filmasse i nostri pensieri nel giorno del
Corpus Domini? I nostri pensieri della processione?
QUASI RISENTITI
Che
strani questi cristiani che, anche quando se ne vanno in
processione, ostentano, poco o tanto, un'aria risentita
nei confronti della città: nei confronti delle auto
che sfrecciano imperterrite nella via accanto, nei confronti
dei cittadini indifferenti che non si fermano al passaggio
dell'Eucaristia, nei confronti delle autoambulanze che,
con le loro sirene spiegate, sembrano ferire la purezza
dei loro canti.
Sembrano quasi più osservatori risentiti di una città
sorda che impenitenti cantori della forza di quel pane in
cui è custodita viva memoria della Pasqua del loro
Signore.
Siamo un po' tutti Giona. Anche noi, come Giona, risentiti
versa una città che giudichiamo sorda agli appelli
di Dio.
Tentati anche noi di andare in altre direzioni: non nella
città, ma nelle nostre comunità; non allo
sbaraglio, ma là dove tutti parlano e pensano allo
stesso modo.
E forse anche noi a disagio, come Giona, quando ci accorgiamo
che la città che noi giudicavamo refrattaria a ogni
appello di salvezza, non è così dura e impenetrabile
come pensavamo.
LA
GIOIA DI ESSERE SALVATI
Ce
ne andiamo per lo più come per una città perduta.
E quindi senza gioia.
Un amico, giorni fa, mi ricordava la preghiera di un salmo:
"Ridammi la gioia di essere salvato". La gioia
di sentire che siamo stati raggiunti dalla salvezza E che
la salvezza è qui, nelle nostre strade, nelle nostre
case.
Nella sua lettera l'Arcivescovo cita Giorgio La Pira, non
cita i profeti di sventura, cita un profeta di speranza:
"Le città hanno una loro vita e un loro essere
autonomo, misterioso e profondo: esse hanno un loro volto
caratteristico, per così dire una loro anima e un
loro destino: esse non sono occasionali mucchi di pietre,
ma sono misteriose abitazioni di uomini e, vorrei dire,
in un cero modo le misteriose abitazioni di Dio: gloria
Domini in te vidibetur".
"Ogni città racchiude in sé una vocazione
ed un mistero: voi lo sapete: ognuna di esse è da
Dio custodita con un angelo custode, come avviene per ciascuna
persona umana. Ognuna di esse è nel tempo una immagina
lontana, ma vera, della città eterna. Amatela, quindi,
come si ama la casa comune destinata a noi ed ai nostri
figli. Custoditene le piazze, i giardini, le strade, le
scuole; curatene con amore, sempre infiorandoli e illuminandoli,
i tabernacoli della Madonna, che saranno in essa costruiti;
fate che il volto di questa vostra città sia sempre
sereno e pulito. Fate, soprattutto, di essa lo strumento
efficace della vostra vita associata: sentitevi, attraverso
di essa, membri di una stessa famiglia; non vi siano tra
voi divisioni essenziali, che turbino la pace e l'amicizia
: ma la pace, l'amicizia, la cristiana fraternità
fioriscano in questa città vostra come fiorisce l'ulivo
a primavera!".
Alzati, dunque, e va. Bisogna alzarci. Alzarci dai nostri
giudizi spietati, dai nostri schematismi di comodo, dalle
nostre prese di distanza.
E leggere. Leggere i segni. Incantarci davanti ai germogli.
Sono tanti e tali da far trasalire il cuore.
ELENA E FRANCESCA
I
germogli sono vicini.
E' un giorno feriale come tanti altri e mi capita di essere
chiamato, per una circostanza fortunata, nel piccolo gruppo
dei ragazzi di prima superiore: oggi parlano della preghiera
e della sua importanza per amare.
Elena parla con la dolcezza del suo viso. Dice: "Per
poter amare bisogna sentirsi amati. E per me la preghiera
è sentirmi amata da Dio".
Francesca racconta e le si imporporano di rossore le sue
gote: "Spesso mi ritorna alla mente la parabola della
pecora che si è smarrita. Se da un lato mi dà
fiducia sapere che Dio si preoccupa di tutto il suo gregge,
dall'altro mi riempie di gioia e di emozione il pensiero
che, anche se mi perdessi, Dio lascerebbe le novantanove,
pur di venire in cerca di me".
Io le guardo. So che per alcuni giorni la freschezza della
loro testimonianza mi farà compagnia.
STAVI SEDUTA SUI GRADINI
Qualcuno
dirà: i germogli non possono mancare nei giardini
coltivati della città, nelle nostre aggregazioni
ecclesiali. Ebbene, forse è gioia ancora più
grande accorgersi che il vento del Signore va fecondando
inaspettatamente tutti i terreni, al di là di ogni
distinzione.
Era una domenica di giugno. Sedevi sui gradini della chiesa,
quei gradini delle chiese che sono diventati frequentemente
ritrovo per i ragazzi che non entrano più nelle nostre
chiese ma - chissà perché - sostano nelle
vicinanze.
Quella domenica pomeriggio ti vidi seduta tra loro. E per
come ti conosco, ho subito immaginato che stavi gettando
dei ponti. Appartiene alla razza di quelli che gettano ponti,
così diversi dai "puritani".
Passò qualche giorno e un pomeriggio feriale, poco
dopo l'apertura della chiesa, uno dei ragazzi dei gradini
stava seduto nella penombra, la testa tra le palme delle
mani.
"E' un anno che non metto più piede nella chiesa"
- mi disse - "ed ora sto provando come una sensazione
buona, che da tempo non sentivo".
E subito il pensiero mi corse a quella domenica pomeriggio,
a te che eri seduta tra loro sui gradini della chiesa. Per
come sei fatta, non mi è difficile immaginare che
il discorso andasse quasi inavvertitamente dagli argomenti
forse banali a quelli più importanti che interrogano
il senso della vita.
Beati i costruttori di ponti: ho pensato.
ANCORA PIU'"LONTANO"
Non
sarà un eccesso di ottimismo dare alla città
un volto di salvezza solo perché germina qualcosa
nel cuore dei ragazzi dei gradini? In loro - direbbe qualcuno
- è pur sempre stato seminato qualcosa con fiducia,
in tempi più o meno lontani.
Ma dove arriva oggi il vento dello Spirito? E chi lo potrà
raccontare ai tanti Giona, che ancora pullulano nella città,
uomini dell'intransigenza e delle sicurezze?
Forse lo potrà raccontare il tuo volto.
Sei arrivata qui, sì, qui, nella chiesa, a cercarmi.
Non ti avevo mai vista prima di ieri l'altro. Ed hai più
di vent'anni.
"Vengo a chiederle" - mi dicesti - "la Comunione".
Provai un tuffo al cuore. Non capita tutti i giorni che
a chiedere la prima Comunione sia una ragazza di ventun
anni. Battezzata e nulla più: un padre stimato, ma
ateo; una madre amata, ma non credente. Un'educazione laica.
Abiti al di là della piazza. Per più di vent'anni
hai visto la gente entrare e uscire da una chiesa. Ora ti
ha preso un desiderio.
"Ho tutto" - mi dici - "Ho una famiglia,
ho un ragazzo, sto frequentando l'Università, ho
amici, ho tutto. Ma mi manca qualche cosa. Mi manca la Comunione.
E sono qui a cercarla".
E come non provare un tuffo al cuore per questo vento che
accarezza l'irraggiungibile, mormora tra i rami lontani,
chiama nel cuore? Nessun invito, nessuna pressione, nessun
programma.
Non avevamo disegnato sulla terra né tracce né
segni.
Eppure sei qui. E negli occhi c'è, pulita ed emozionante,
la sorpresa del Vangelo.
don
Angelo
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