articoli di d. Angelo


 

A SILVIA

Cara Silvia,
non avrei mai potuto pubblicare questa tua lettera senza averne avuto il previo tuo assenso: la tua non è infatti una lettera alla redazione, una lettera destinata al pubblico.
Eppure le riflessioni, le emozioni, le suggestioni, che la percorrono dalla prima all'ultima parola, appartengono ai pensieri di non pochi uomini e donne del nostro tempo.
Per questo vorrei trascriverla qui, in questo foglio, quasi a dire un desiderio: quello di non lasciar cadere nel vuoto le tue parole o, meglio ancora, il desiderio di dare loro un'eco più dilatata. Parole e interrogativi, i tuoi, cui non so dare sempre una risposta, tuttavia accolti e ospitati nel cuore.
Ecco la tua lettera:
Caro Don Angelo,
mio zio ti ha duplicato queste foto, per ricordo del bel battesimo di Viola.
Grazie ancora per averci permesso di viverlo, e non recitarlo. Sento che Qualcosa è sceso nel profondo, l'acqua ha trovato la crepa dove essere custodita. Vorrei non ristagnasse, che desse vita, abbeverando deserti.
Io posso solo dire che mi è venuta tanta nostalgia di quando tutto era per me naturale, nella chiesa, nell'essere cattolica.
Purtroppo sento che tuttavia non è più così semplice; quel che è cresciuto dentro di me, non so se buono o cattivo, giusto o ingiusto, mi porta lontana dai riti di massa, mi dà voglia, esigenza di esprimere col corpo e nel silenzio il mio rapporto con Dio.
Perché continuare a circoscriverlo nella messa comunitaria?
Sai, don Angelo, credo che sarebbe bello se ogni chiesa fosse anche luogo Sacro senza altre definizioni, offrendo uno spazio neutro, di silenzio, dove trovare sempre la tranquillità per poter raccogliersi, meditare. Sapessi quanto gustano i miei allievi di yoga i momenti che dedichiamo alla pratica della meditazione, quanto mi hanno ripetuto che è bello avere una stanza più spoglia delle altre, ornata solo da piante, l'acquario col fruscio dell'acqua, il profumo dell'incenso, per poter fermarsi, riposare nella quiete interiore.
È troppo ardito proporre, offrire uno "spazio sacro" in una parrocchia, ma aperto anche quando la chiesa è chiusa, cioè quando la gente che lavora ha delle pause, ritrova se stessa, e aprirlo a tutti, senza etichettarlo?
Avvicinandomi alla spiritualità orientale ho scoperto sempre più il valore del respiro, dell'essere presenti... , ma avremo il coraggio di ascoltare anche voci altre, che non derivino dal ceppo monoteista/occidentale, pur nelle sue varianti, a cui tu coraggiosamente hai dato sempre spazi?
E avremo il coraggio di dar loro voce senza per forza ricondurla a dei parametri cristiani, lasciando che si possano esprimere nella loro ricchezza forse così apparentemente difforme dalla "nostra" spiritualità, ma senz'altro in profondità vicina, forse più vicina a un Dio "grande", non rimpicciolito?
Poi volevo aggiungere un complimento per quel bosco fiorito che adornava la chiesa: piante, non fiori recisi. Credo che anche Dio ci voglia così, con le nostre radici, dovunque affondino.
Un abbraccio!
Silvia

Tu dici "grazie", Silvia, per avervi permesso di vivere il battesimo di Viola e non recitarlo. Vivere e recitare: la distinzione è sottile. Ha evocato dentro di me liturgie celebrate senz'anima, nella più imponente assenza: tanto più imponenti quanto più assenti.
E dunque recitare un battesimo, recitare una messa, recitare un matrimonio o viverli?
È strano, anzi drammatico -siamo giunti a tanto!- che oggi qualcuno senta il bisogno di ringraziarti per averti permesso di "vivere" e non "recitare" un battesimo. Non dovrebbe essere questo la norma? Dal tuo osservatorio, Silvia, ti sembra di poter dire di no, che è un'eccezione.

Ma che cosa rimane dei sacramenti se sono involucri senz'anima, liturgie incolori e il battesimo acqua senza spirito? Che vale versare acqua sul capo se impenetrabile è il cuore, se l'acqua, come tu dici, non trova la crepa in cui essere custodita? Forse sta qui una delle ragioni -non dico l'unica, ma nemmeno l'ultima- per cui uomini e donne d'oggi prendono le distanze dai riti, i riti che tu chiami "di massa": il popolo è un cuore, è una passione comune, è una voglia di celebrare insieme; la massa è passività arida, inerzia.
Ad uomini e donne che, oggi forse più di ieri, chiedono di esprimere "con il corpo e nel silenzio" il loro rapporto con Dio, la risposta sembra essere quella di un cristianesimo rumoroso. Dio non voglia che i giorni del Giubileo assumano i colori purtroppo noti delle "scampagnate religiose".
E che rumore non si aggiunga a rumore, frastuono a frastuono, spettacolo a spettacolo!

Tu sogni una chiesa -anch'io la sogno con te- spazio di un silenzio, spazio del sacro, spazio dove a risuonare non sono le nostre logore parole, ma le promesse di Dio, là dove, affacciandosi, ognuno di noi possa, in un silenzio rabbrividito, cogliere una presenza e sentire che la promessa è custodita anche per noi.
Spazi di silenzio cercano i ragazzi che percorrono le vie dell'Oriente, i giovani che a migliaia chiedono ospitalità alle comunità monastiche, da Taizé a Bose. E noi affrettatamente li giudichiamo malati di stranezze esoteriche, quasi fossero tutti in cerca di miscugli religiosi.
Così facendo non interpretiamo la sete che sta all'inizio: quella di silenzi in cui respirare una presenza, l'attesa di una "cella del cuore".
Invidio, Silvia, quelle chiese la cui architettura consente fin da oggi l'accesso continuo in qualunque ora del giorno, uno spazio sacro, aperto a tutti, aperto e in qualche misura protetto da rumori e vandalismi. Quali possibilità potrebbero esserci per noi?
Ti confesso che guardo a volte con occhi stralunati i progetti delle parrocchie che investono ancora oggi in megastrutture: campi da tennis, spogliatoi, campi da calcio, piscine, palestre... con una fantasia fertilissima, sorprendente.
Nello stesso tempo mi vado chiedendo se questo, proprio questo, è ciò che Gesù affida alla sua Chiesa, se proprio per queste strade o non forse per altre vada invece l'attesa più profonda.
E se l'attesa fosse semplicemente, radicalmente, quella di una fessura? Una fessura da cui spiare l'Invisibile? Continueremo imperterriti a costruire attrezzature sportive e lasceremo che gli uomini e le donne del nostro tempo percorrano le vie dell'Oriente alla ricerca dei luoghi dello Spirito, alla ricerca delle terre dell'Infinito?

Ma la tua lettera, Silvia, sfiora dall'inizio alla fine un'altro nodo sul quale, a mio avviso, le nostre risposte sono oggi controverse, spesso incerte. Balbettiamo come bambini, e avessimo tutti il coraggio di confessare che il nostro è niente più che un balbettare, da bambini.
Alludo al nodo del rapporto tra cristianesimo e le altre religioni. Abbiamo fatto qualche timido passo nella scoperta dei tesori comuni e delle ricchezze diverse custoditi presso le diverse confessioni cristiane.
Arriviamo forse anche ad ammettere che le tradizioni spirituali dell'Oriente possono offrirci strumenti importanti nel campo dello spirito, quelli cui tu accenni nella tua lettera: il valore del respiro, dell'essere presenti...
Ma il nodo vero è un altro: "Avremo il coraggio" -tu scrivi- "di dare loro voce, senza per forza ricondurli a dei parametri cristiani?".
Avremo il coraggio, Silvia, avremo la libertà interiore di riconoscere che lo Spirito di verità è già stato presente e operante nelle diverse tradizioni religiose, lo Spirito di verità che per i cristiani è Cristo stesso, ma che può esprimersi, sotto molti altri nomi?

Le tue riflessioni mi hanno portato al cuore pagine e pagine di un libro folgorante di Simone Weil, "Lettera a un religioso", libro che pone una serie inquietante di interrogativi, interrogativi che non sono stati colti, a mio avviso, nella loro serietà radicale. Lettera a un religioso. Purtroppo, a tutt'oggi, senza risposta.
Nell'elenco dei 35 pensieri che Simone Weil accompagna con un punto interrogativo, leggiamo:
[4]"Forse presso diversi popoli (India, Egitto, Cina, Grecia) ci sono state Scritture sacre rivelate allo stesso titolo delle Scritture giudaico-cristiane. E forse alcuni dei testi giunti fino a noi ne sono frammenti o echi".
[29]"Prima del cristianesimo, in Israele e fuori di Israele un numero imprecisato di uomini sono forse andati lontano tanto quanto i santi cristiani nell'amore e nella conoscenza di Dio.
Lo stesso vale, dopo il Cristo, per quella parte di umanità che è fuori della chiesa cattolica ("infedeli", "eretici", "non credenti")".
Se pericolo vero può essere oggi quello di costruirsi a proprio uso e consumo una religione "miscuglio di religioni", altro pericolo rimane quello di rimpicciolire, come tu dici, Dio.
[30]"È molto probabile" -scrive ancora Simone Weil- "che due bambini morti pochi giorni dopo la nascita, l'uno battezzato e l'altro no, abbiano un identico destino eterno (anche se i genitori del secondo non avevano nessuna intenzione di farlo battezzare)".
A volte mi sembra di immaginare un Dio in fuga. In fuga da tanti luoghi in cui tentiamo di imprigionarlo. Come se gli mancasse l'aria.
In fuga da tante nostre immagini, in fuga dalle meschinità che spesso gli attribuiamo, non ultima quella di dare paradisi di serie A ai bambini battezzati e paradisi di serie B agli altri.
Un Dio in fuga da tante nostre liturgie, da tanti nostri documenti, da tanti nostri schemi. Gli manca l'aria.
La questione vera -dopo tutto o prima di tutto- è avere, come tu scrivi, le radici.
Anch'io credo che Dio ci voglia così, con le nostre radici, dovunque affondino.
Un abbraccio!

don Angelo


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