CONOSCERE
DIO SUI CORPI
Scampoli
di riflessioni. O di emozioni, Spesso è un attimo,
un attimo fuggente, più breve del rigo di luce di
una stella cadente in una notte d'agosto.
Ed è come se li si illuminasse improvvisamente una
connessione: il filo rosso sottile tra avvenimento e avvenimento,
tra parola e parola, tra storia e storia, piccole e grandi
storie, storie di piccoli e grandi uomini, piccole e grandi
donne.
Così succede a tutti. A me è successo qualche
giorno fa: il gesto di Elena, le parole di Francesca.
Tra poco partirà per l'Africa: sei mesi o anche più.
Chi lo sa? Mi abbracciava, stretto stretto. Ancora mi abbracciava
e, abbracciando mi diceva: "Don Angelo, benedicimi!".
Sentivo che non chiedeva parole preconfezionate di benedizione:
quell'abbraccio era benedizione. Questo le bastava: era
la benedizione di Dio per lei.
Elena: Dio nell'abbraccio.
Francesca. Nel grande cerchio dei fidanzati che parlano
di sessualità, sento la sua voce. È troppo
lontana per cogliere l'emozione nei suoi occhi, sento l'emozione
della voce.
"Penso" - dice - "che non ci sia un'esperienza
cosi intensa di Dio, di Dio creatore, come quando uomo e
donna si donano l'uno all'altro".
Un attimo di sospensione e di stupore: conoscere Dio sui
libri o sui corpi?
Rimormorano nella memoria le parole antiche del profeta
Osea, che usa l'immagine dell'innamoramento: evoca il parlare
dell'innamorato sul cuore della donna amata. Per poi concludere:
"...e tu conoscerai il Signore" (Os 2, 22).
Ancora una volta: Dio nell'abbraccio.
Penso di non esagerare costatando che non siamo stati educati
- dobbiamo confessarlo - a vedere nel corpo il luogo di
una rivelazione.
La conoscenza di Dio o dell'altro, per un eccesso di intellettualizzazione
tipica dell'occidente, è stata affidata quasi esclusivamente
ai canali della pura razionalità.
La religione, la nostra stessa fede, non sono sfuggite purtroppo
a questo eccesso di spiritualismo, quasi che a Dio si andasse
negando il corpo: più lo dimentichi e più
sei un uomo spirituale.
Oggi in ambienti ecclesiastici si consuma tempo a fare lamento
su una società ossessionata da una vuota esaltazione
del corpo, "corpo senz'anima". E non ci si lascia,
nemmeno lontanamente, sfiorare dal dubbio che il "corpo
senz'anima" sia la conseguenza quasi scontata d'una
educazione all'"anima senza corpo".
All'apprendimento attraverso la razionalità non si
è accompagnato l'apprendimento attraverso l'affettività,
attraverso la corporeità.
"Uomo conosci te stesso" è stato declinato
come "Uomo conosci la tua anima" e non anche come
"Uomo conosci il tuo corpo", dimenticando che
anima e corpo sono in unità indissolubile
Che l'altro ti tocchi con il suo pensiero lo riteniamo legittimo
e giusto. Fa problema invece che l'altro ti tocchi con le
sue mani. Qualcuno le ritiene "impure", come se
il gesto contenesse una prevaricazione o un'intrusione.
Come
questa "spiritualizzazìone" sia potuta
avvenire in area cristiana è quanto meno sconcertante.
Mentre riempivamo le chiese di canti al Verbo fatto carne,
proponevamo modelli di vita che evocavano paradossalmente
spiriti senza corpo.
Mentre cantavamo a Dio che toglie le distanze e si fa prossimo,
censurando gli affetti e il corpo, proponevamo ai credenti
un cristianesimo del distacco e della inaccessibilità.
Prossimo si, ma a una certa distanza, soprattutto se donna.
Per molti di noi diventa perciò una scoperta liberante
leggere i Vangeli al di fuori di certi stereotipi che ci
sono stati offerti in passato: incontrare il Gesù
vero dei Vangeli.
Un Gesù che non si limita a parlare: e già
sul parlare ci sarebbe da discutere, perché le parole
di Gesù erano "parlate", e non "recitate".
Quante parole invece, tra noi, recitate e non parlate!
Il
Vangelo racconta di un Gesù che "vedeva":
"passando, vide un cieco dalla nascita" (Gv. 9,
1). Può stupire il fatto che l'evangelista usi il
singolare e non il plurale. Certo lo avevano visto anche
i discepoli: ma per loro quello era un "caso clinico":
serviva a discutere su dì chi era la colpa.
Gesù lo vide: era una persona, non un caso.
Quante volte anche noi, come i discepoli, tentati di fare
rientrare gli altri nelle caselle delle nostre codificazioni
ecclesiastiche: un caso, non una persona.
Il Vangelo, se letto nella sua verità, diventa un'educazione
a "vedere", a comunicare attraverso la tenerezza
degli sguardi.
Confesso che a volte mi emoziono ripensando a quante cose,
quanti sentimenti, quanti pensieri passano in quell'attimo
fuggente in cui ci si guarda negli occhi, la domenica, mentre
prendiamo il pane dell'Eucarestia.
E per contrasto penso come ancora sia rilevante - non per
colpa loro - il numero dei cristiani senza brividi e senza
sussulti, che se ne vanno testa bassa, rasente i muri, senza
guardarsi negli occhi, quasi fosse da spudorato il farlo.
Nemmeno quando ti danno il segno della pace. Cattiva educazione
che viene purtroppo da lontano, da molto lontano.
Interessante,
emozionante sarebbe ancora ripercorrere il Vangelo alla
scoperta delle mani di Gesù e delle mani di coloro
che l'hanno incontrato: un Gesù che tocca e, superando
ogni pregiudizio di "puro" e "impuro",
si lascia toccare.
Tocca il lebbroso, considerato impuro, tocca la ragazzina
dodicenne morta, si lascia toccare dall'emorroissa: lo stanno
pressando da ogni parte ed egli avverte che qualcuno ha
toccato il lembo del suo mantello.
Si lascia toccare da Maria di Betania, lascia che pianga
sui suoi piedi, che glieli profumi con unguento preziosissimo
e glieli asciughi con i suoi capelli, quasi avesse bisogno
di essere accarezzato e profumato lui, che va a morire.
A un amico puoi dire la vicinanza anche con una cena, come
quel giorno a Betania. Ma se poi è una cena dove
si fa questione di soldi, a che serve?
Le parole sono a volte lontane. La mano che ti sfiora, la
carezza che ti fa trasalire, l'abbraccio che ti stringe,
svelano una presenza. È il profumo della persona.
A volte mi chiedo che cosa direbbe il Signore Gesù
se oggi entrasse in certi nostri ambienti, così ricchi
di declamazioni e così gelidi, poveri di sentimenti,
dove ci si sente autorizzati, come Simone il fariseo, a
giudicare: "Se costui fosse un profeta, saprebbe chi
e che specie di donna è colei che lo tocca".
Gesù, che oggi vive nel nostro prossimo, ci direbbe:
"Sono entrato nella tua casa e tu non mi hai dato l'acqua
per i piedi; lei invece mi ha bagnato i piedi con le lacrime
e li ha asciugati con i suoi capelli. Tu non mi hai dato
un bacio, lei invece da quando sono entrato non ha cessato
di baciarmi i piedi. Tu non mi hai cosparso il capo di olio
profumato, ma lei mi ha cosparso di profumo i piedi"
(Le 7, 44-46).
La carezza, il bacio, il profumo - non il giudizio arrogante
- sono il luogo del Vangelo, luogo di una buona notizia.
Se dentro vi abita il tuo spirito.
don
Angelo
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