SUONARE
LE TROMBE O SUONARE LE CAMPANE?
Ci
sono immagini che indugiano nel cuore: giorni e settimane
e mesi non le consumano né perdono di intensità.
A volte sono immagini pacificanti: danno riposo al cuore.
Così è di un alberello giapponese, che mi
fu donato la scorsa estate: avevo parlato della chiesa come
di un albero che dà ospitalità agli uccelli
dell'aria, senza trattenerli; e alcune ragazze mi fecero
dono di un piccolo albero.
Mi dissero: "Dagli un sorso d'acqua ogni giorno!".
E l'alberello sorprendentemente dopo mesi è rifiorito,
con i suoi fiori penduli, color aragosta.
Lo guardo e mi riposo, Sarà un segno dei tempi?
DOLCEMENTE
INQUIETANTI
Altre
immagini sono dolcemente inquietanti. Anche queste - anzi,
queste più di altre. forse - sono un segno dei tempi.
Così il volto di Lidia. Anche il suo volto dolcemente
mi "perseguita".
Era come una che arriva con il cuore in gola e nei suoi
occhi portava il segno di uno smarrimento e di una accoratezza
infinite.
Prima ancora che le chiedessi che cosa fosse accaduto, mi
prevenne con una interrogazione. Era mattina e, da come
ne parlava, l'interragazione l'aveva trattenuta a fatica
per una notte. Quanto lunga per lei quella notte, con quella
interrogazione che le scoppiava nel cuore!
SUONARE
LE CAMPANE?
"Don
Angelo" - mi disse - "ma perché non hai
suonato questa notte le campane?".
Un atttimo di sospensione, come di chi cerca, smarrito,
di capire. Poi subito mi riviene alla memoria una notizia
passata nel primo giornale-radio del mattino. Mezza Italia
- vi si diceva - la sera prima si era ritrovata unita nel
ricordo della strage di Capaci e del giudice Giovanni Falcone.
E un invito ci si era passati: quello di suonare nella notte
sirene e campane. Lidia aprì in quell'ora le finestre
e la città le parve per un attimo buia e inerte.
Non un suono di campana nell'aria immota, sommersa dall'indifferenza.
Tentai con Lidia la via delle giustificazioni: "Tu
sai" - le dissi -"che noi eravamo riuniti in Consiglio
Pastorale. E, poi, forse non basta liberare le campane
".
Riascoltavo, mentre le parlavo, le mie parole e mi sembravano
tentativi maldestri di giustificare l'ingiustificabile.
ACCADA
QUEL CHE ACCADA
L'interrogazione
ne apriva, a ondate incontenibili, altre; altrettanto inquietanti.
Non corriamo forse il rischio che i nostri spazi ecclesiali,
le aule delle nostre chiese come le aule dei nostri incontri
parrocchiali, siano alla fin fine come desonorizzate? A
tal punto desonorizzate, che mentre nella città si
dibattono temi di intensa passione civile, noi non ne veniamo,
nemmeno marginalmente o solo marginalmente, sfiorati.
Accada quel che accada, noi abbiamo le nostre cose da fare!
E se la colluvie delle cose da programmare fosse a tal punto
asfissiante da non consentirci più il vedere, l'ascoltare,
il toccare?
Eppure nei tempi antichi, quando la vita di un popolo era
in pericolo, la chiesa suonava a martello le campane.
RIPIEGATA
SU SE STESSA
Che
senso avrebbe una chiesa che passasse nel mondo senza udire
e senza lasciarsi sfiorare da ciò che accade?
Che senso avrebbe una Chiesa solo attenta a ciò che
accade al suo interno, quasi timorosa di sporcarsi unendosi
agli altri, quasi ne andasse di una sua presunta incontaminata
compostezza?
Il pericolo non è così astratto. Lo segnalava
anni fa il nostro Arcivescovo nella sua lettera "Farsi
prossimo":
"Accade" - scriveva - "che una vita di chiesa,
ripiegata su se stessa, sui propri problemi interni, sulla
propria autoconservazione, si trovi molto impacciata dinanzi
alle scelte difficili esigite dalla carità, e si
ritragga spaventata in un atteggiamento di chiusura, che
diventa sempre più grave e quasi insuperabile"
(n. 9).
RESISTONO
VOLTI
Resistono,
per fortuna e per grazia, volti come quello di Lidia, che
sembrano evocare visibilmente la drammaticità dei
fatti che stiamo attraversando.
E forse il miracolo è questo: pur negli anni della
maturità, rimane in te quella capacità di
indignarsi a quella spinta al cambiamento, che normalmente
noi associamo agli anni dell'adolescenza e della giovinezza.
Ti rimane questa rara e sorprendente capacità di
vivere, come accaduti in casa tua, i fatti che accadono
nella città e che toccano gli altri.
SUONARE
LA TROMBA?
Suonare
le campane. E non suonare la tromba.
Ho letto sui giornali del Convegno "Nascere e morire
oggi" che ha avuto il suo epilogo nel raduno dei novantamila,
il 22 maggio , allo Stadio di S. Siro.
I nostri giornali fanno i titoli grandi. Titolo grande anche
su "Il nostro tempo", nuovo settimanale per la
città di Milano. "Una storia nuova": è
il titolo a tutta pagina. E tre articoli a raccontarla.
Non vorrei sembrare fuori misura polemico. Ho letto attentamente
i tre articoli. Poi me li sono ancora una volta riletti,
pensando che qualcosa mi fosse sfuggito.
Sapevo di un mio amico, Silvio Barbieri, chiamato - e so
anche dopo quanta insistenza !, lui che non è della
razza degli "sbandieratori" - a dare una testimonianza
ai novantamila radunati a S.Siro.
CERCO
MA INVANO
Cerco
ma invano un cenno nei tre lunghi articoli. Parlano di tutto:
dell'immenso "ola", accompagnata da cori di stadio,
parlano di balletti e di coreografie.
Vi trovo per ben due volte, ripetuti in due articoli - quante
volte, Signore, ce li dovremo ancora sentire straripetere?
- i nomi dei soliti "vip" della politica! Elencati
- nome e cognome - ministri, senatori, "onorevoli",
e pure il nome di qualcuno in predicato di essere sindaco
di questa città.
Non credevo ai miei occhi, ma il tuo nome, Silvio, proprio
non c'era, né c'era quello dei tuoi centonovantuno
ragazzi.
Per venticinque anni hai ospitato, in quella casa che ora
mi sembra di rivedere, insieme ai tuoi figli, ragazzi abbandonati,
ragazzi in difficoltà, centoventuno negli anni.
Mi telefonasti, alcuni giorni prima del grande raduno: avevi
ceduto all'insistenza dell'Arcivescovo e me lo volevi comunicare.
Nella tua telefonata, per un attimo mi parve di avvertire
quasi il desiderio di essere perdonato per l'invito accolto.
NON
I SOLITI SBANDIERATORI
E
io a dirti che ero felice che tu, sia pur a fatica, avessi
acconsentito, felice che a parlare di vita non ci fosse
uno dei soliti "sbandieratori" che finiscono per
celebrare se stessi più che la vita - siamo purtroppo
arrivati a tempi di "vip" e di "star"
anche in campo religioso! - felice che nello stadio ci fosse
qualcuno a parlare della vita con la "v" minuscola.
Ti dirò che ero curioso di sapere come te la saresti
cavata, tu ed Albertina, nel grande stadio, che cosa avresti
inventato per scomparire.
Amici comuni mi dissero che ci sei riuscito, con un intervento,
il tuo, in cui voi due proprio non apparivate: parlavano,
con brani delle loro lettere, alcuni di quei centoventuno
ragazzi.
E così, ancora una volta, anche nel grande stadio,
mi insegnavi come si serve la vita: scomparendo.
Ma quanto cammino ci resta da fare, Silvio, come chiesa,
se dei centoventuno non esiste cenno nella grande pagina
che titola "Una storia nuova".
E' vecchia. Vecchia la storia, che continua a ripetere,
fino alla noia, i nomi già ampiamente noti e celebrati.
Storia nuova, evangelica, vorrebbe che si andasse ad alzare
il sipario, ma non più di tanto, su testimoni umili
e silenziosi.
Quanto cammino, Silvio - ma non disperiamo! - per diventare
chiesa che suona le campane e non suona la tromba.
don
Angelo
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