articoli di d. Angelo


 

CHI MI VENDE UNA DOMANDA ?


Non so che cosa ti faceva più carica: se il peso del tuo invisibile bambino o le domande sul suo e sul tuo futuro.
Abituati come siamo a misurare l'esteriorità delle cose e non l'interiorità, mi era più facile immaginare che a farti curva fosse lui e poi il carrello che ti trascinavi dal supermercato e le borse di plastica, sempre più pesanti per una che è al nono mese.
Ma c'era -lo leggevo nella punta estrema dei tuoi occhi- anche il peso delle domande.
Il peso delle domande? Ma come anche le domande adesso hanno un peso?
Oso chiamarlo così. E forse non sono così lontano dal vero.

Ci ritroviamo, ci ascoltiamo, ci guardiamo. E, a volte, anzi spesso, mi sembra di vedere pesare negli occhi le domande, le sorprendi da lontano, anche dal tempo della gioia.
Ricordo una sera di novembre: il fuoco del camino ti arrivava amico alle spalle, fumava la polenta, quella nera, allegria della tavola. Ma alla punta, quella estrema degli occhi, il peso delle domande.

Non è forse vero che nel paese della programmazione globale le domande stanno male, quasi per una sorta di spaesamento? In un mondo di programmatori sofisticati e inossidabili finiamo, per istinto, a pensare che anche il cammino degli umani possa stare nei programmi e che noi possiamo darci pace solo se il loro cammino sta nel previsto e non nell'imprevisto.
E se un figlio o una figlia non è nel programma? Se segue strade altre? Sentiamo allora tremare la terra. Ti chiedi dove sia, per quali cammino, dietro quali orizzonti. Ti senti perso. E la domanda ti pesa negli occhi.

Ti pesa negli occhi -e non potrebbe essere diversamente- in questa società dove si pretende, semplicemente cliccando, una risposta in tempo reale a tutto.

Anche la fede, nell'immaginario del passato -o forse anche del presente?-, era declinata presuntuosamente come una risposta a tutto
Poi nacque la domanda: dov'è? Dov'è Dio, nell'orrore, nell'inferno della Shoah? La domanda del secolo che ci siamo lasciati alle spalle, la domanda che ci portiamo ancora sulle spalle, la domanda che ci fa curve le spalle.
È nata la domanda. O forse la domanda è da sempre nel silenzio più segreto del cuore. Domanda rimossa, o perché soffocata dal frastuono del nulla o perché censurata dagli imbonitori delle coscienze, quelli che vendono a buon mercato le risposte e non hanno esitazioni: loro sanno tutto!
Non dovremmo -me lo chiedo- restituire dignità alle domande? Alle mille domande che non hanno una risposta immediata? E portarne il peso, ma dolcemente.
Essere sereni -si diceva la sera del fuoco e della polenta- essere sereni nelle domande: grande beatitudine!

A volte mi ritorna al cuore e non so perché, forse è un dono, dono inatteso la storiella, imbevuta d'umanità e di sapienza, che racconta di uno studioso del Talmud che gira per le strade e le piazze, chiedendo ai suoi compagni: "Chi ha una domanda? Gli vendo in cambio cento risposte".
"La domanda" -diceva lo scorso febbraio Martin Cunz- "ci insegna a vedere, ad ascoltare, a capire.
Al contrario una risposta è morta se è considerata definitiva e se non apre la porta a nuove domande.
E le domande nascono dall'oggi. Nessun altro pone le nostre domande per noi, dobbiamo porle noi a noi stessi.
La domanda se è veramente nostra ci apre gli occhi sulla realtà, ci insegna a vedere le cose come sono, nella loro complessità.
La domanda ogni tanto ci costringe anche a guardare negli abissi di noi stessi, delle persone con cui abbiamo a che fare, negli abissi della nostra epoca, ma anche negli abissi di Dio".

Dovremmo forse più frequentemente ricordarci che è proprio la domanda che ci fa veramente uomini e donne.
Nelle prime pagine di un suo piccolo libro "Perché no?", Moni Ovadia, uomo di teatro, saltimbanco -come ama definirsi-, "ebreo corrosivo", ricorda che secondo la gemahtria cabbalistica ebraica, la parola Adam, essere umano, con valore numerico 45, composta da aleph 1, daleth 4, mem 40, corrisponde numericamente alla particella interrogativa "che cosa?", che è mem 40, hey 5, quindi, appunto, 45.
"Da questa identità numerica" -scrive Moni Ovadia- "i nostri maestri deducono che essere umano è colui che sa porre domande. Non chi dà risposte, ma chi sa porre domande. Perché chi pone domande apre alla produzione di senso, apre al futuro, dà alle generazioni a venire la possibilità di intervenire, di esistere. Perché la domanda è quella che apre la questione, sollecita una risposta anche su questioni già apparentemente chiuse: si trova sempre una nuova domanda" ("Perché no?", Bompiani, 1996, pag. 10).

Anche Gesù, da buon ebreo, spesso, ad una domanda rispondeva con una domanda: che cosa trovi scritto nella legge?
Era per lui un modo luminoso per riconoscere dignità all'intelligenza di chi lo interrogava, un segreto per indurlo ad allargare la visione, nella ricerca ininterrotta di nuovi sensi.
Il Dio della rivelazione non è riconducibile nello schema o nella prigione di una sola risposta, di una risposta che zittisca la domanda per sempre.

In un suo editoriale illuminante un biblista nostro amico, Don Bruno Maggioni, ricorda la problematicità e l'apertura di molte pagine della Bibbia e così scrive:
"Colpisce il fatto che all'interno della Bibbia la domanda dell'uomo non scompare, come se venisse annullata dalla risposta della rivelazione. Bensì riemerge doppiamente […].
L'esperienza del dolore innocente, dell'ingiustizia trionfante, della delusione, pare continuamente contraddire la bontà e la fedeltà di Dio e questo spinge l'uomo biblico -pur credente- a chiedersi se veramente Dio è fedele, se davvero la sua promessa è solida. L'uomo biblico si imbatte continuamente nel mistero di Dio. E così la sua domanda si fa doppia. Non soltanto "chi è l'uomo?", ma anche "chi è Dio?".
Per alcuni il fatto che nella Bibbia la domanda si riproponga costituisce una delusione. Personalmente ne provo entusiasmo. È un segno che la Bibbia è un libro sincero, non un libro edificante, nel quale i conti tornano sempre. Far tornare i conti è il desiderio dell'uomo, non il vero modo di manifestarsi di Dio".

In questi giorni di stordimento, anche religioso, dovremmo ricordare con insistenza a noi stessi che ad aprire le porte è la domanda: senza domanda possiamo attraversare tutte le porte del giubileo, ma inutilmente. Entrare, ed uscire come siamo entrati. Come se non fossimo mai entrati.
Capita di incontrare oggi cristiani che non hanno più domande su Gesù: sanno la risposta a memoria. E la ripetono stancamente.
Posso sbagliarmi, ma ritengo che proprio la domanda su Gesù debba ritornare ad essere la domanda prioritaria, quella degna di stare "in principio".
Ho come l'impressione che l'affresco, l'affresco Gesù, vada ripulito. Ripulito dalle mille e mille incrostazioni che ne hanno appesantito e velato il volto e la vita: troppe sandaline, troppi veli, troppi ingombri sulla soglia.
Sarebbe buono l'augurio di Erri De Luca, il suo invito a risalire a ritroso come fa il salmone la corrente, "una spinta a risalire a un'origine più letterale, per un bisogno di intimità con le parole della fondazione".
La domanda su Gesù fa attraversare la soglia, quella del Libro, delle Scritture Sacre. Ma, a mio avviso, la domanda su Gesù fa attraversare oggi anche altre soglie, mille e mille altre soglie disegnate sulla terra.
Alla domanda: "dov'è", si può rispondere dando l'indicazione del Libro: "a Betlemme di Giudea…". Fu la risposta dei cultori del Libro, radunati, a consulto, da Erode.

Una risposta che, da subito, apre una domanda: e prima? e dopo? e al di fuori di quella terra?
Il prologo del Vangelo di Giovanni sembra allargare la visione, quando del Verbo di Dio, della Parola luminosa delle origini dice: "Tutto è stato fatto per mezzo di lui e senza di lui niente è stato fatto di tutto ciò che esiste".
Vedete come è insensato e miope il tentativo di ridurre Cristo a un luogo o a una religione.
"Niente senza di lui": come a dire -perdonate la parola- che è "impastato" in ogni cosa, è finito in ogni cosa, il canale ha portato acqua dappertutto.
E quindi -voi mi capite- siamo chiamati a essere della razza degli scopritori, uomini e donne delle miniere, che sanno scavare e scovare.
Fuori dalle ingenuità del passato, quando ti volevano far credere che l'oro fosse solo nella tua miniera.
Giovanni dice che tutto il mondo è una miniera.
Va a scavare. Va a scovare. Va a far brillare l'oro. Portalo alla luce.
Comodo, ma ingenuo, dividere il mondo in due; di qui la luce, di là le tenebre. Più faticoso, ma anche più esaltante, percorrere con la tua domanda -dov'è?- tutte le terre alla ricerca di lui.
Dal peso della domanda -la domanda che pesa negli occhi- all'entusiasmo della domanda, la domanda che fa lucidi i tuoi occhi.

don Angelo


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