LA
NOTTE NON È PIÙ NOTTE
Mi
succede di sorprendermi a cantare, andandomene per le strade
in questi giorni. Ma sottovoce, forse solo dentro, perché
nessuno mi conosca per pazzo.
Mi è rimasto, come sottofondo che accompagna i miei
passi, altrimenti vuoti, il ritornello di un canto dei ragazzi
di Taizé, che hanno invaso la nostra città,
gli ultimi giorni e le ultime notti dell'anno e se ne sono
andati al fiorire del primo giorno.
Il ritornello canta: "La notte non è più
notte davanti a te, il buio come luce risplende".
Ora che le strade sono orfane della loro gioia e le chiese
non odorano più dei loro canti, ora che la vita ha
ripreso qui in città i ritmi ossessivi di sempre
-se ti fermi, guai-, ora che viene fin troppo facile pensare
che la nostra vita conosce ancora le notti, resiste, quasi
una sfida, quel canto: "La notte non è più
notte davanti a te, il buio come luce risplende".
Qualcuno potrebbe dubitare della verità delle parole.
Tutti, chi più chi meno, abbiamo incrociato esperienze
religiose che si esaurivano in momenti di euforia spirituale,
con totale disimpegno poi nei luoghi dove si fatica per
il pane di tutti.
Rimarranno incancellabili nella memoria del cuore le parole
con cui Dietrich Bonhoeffer bollava l'incoscienza di chi
cantava il gregoriano e non gridava per gli ebrei.
Ma il canto dei ragazzi europei non mi sembrava coprire
e benedire simili evasioni.
UN
ROGO SUL MARCIAPIEDE
È
successo che in una notte di queste, una delle più
vicine al Natale, la nostra piazza Bernini si illuminasse
di spavento per un rogo di fiamme, sul marciapiede poco
distante dalla chiesa.
Avevano dato alle fiamme nella notte -chi è stato
non si sa- un'auto che stazionava da tempo sul marciapiede,
un'auto forse rubata, che diventava nel buio rifugio per
un marocchino in lotta contro l'inverno.
C'era chi, passando di giorno, lasciava una coperta di lana
sul cofano, certo non a protezione del motore. Ma c'era
anche chi, passando, mal sopportava quell'indegno spettacolo.
E forse non gli parve vero quella notte di mettere la parola
fine, una volta per sempre, bruciando il rifugio.
Il dibattito oggi su ciò che fosse giusto o non giusto
forse ci troverebbe su posizioni diverse e divisi.
Ma forse tutti, nessuno escluso, siamo al punto di capire
che, appiccando il fuoco, puoi incenerire le cose, ma non
puoi incenerire un problema.
Rimase a lungo sulla piazza la carcassa dell'auto, annerita
dal fuoco, di un colore grigiastro.
La si poteva guardare, passando, in modi diversi. Con disgusto,
come un disturbo, come le scritte sui muri della città.
O forse come un monumento, monumento dell'insipienza di
chi brucia cose, pensando di bruciare problemi.
Poco distante dalla chiesa la carcassa aveva l'aspetto duro
di una provocazione per noi che entriamo e usciamo. Esci
di chiesa, hai cantato, osserva. Non ti capiti di incenerire
i problemi drammatici di questa città, di questa
terra.
I problemi che segnano quotidianamente i nostri volti.
VEDO
VOLTI SEGNATI
C'è
chi persiste a parlare della nostra società come
di una società di gaudenti, grassa e satolla. È
un parlare dall'alto, uno sdottorare dai palchi e dai salotti
televisivi, senza entrare nelle case, senza accarezzare
con lo sguardo i volti.
Io vedo per lo più volti segnati dalla fatica, le
giornate per molti di un equilibrio fragile come un incastro
sofisticato: basta un ritardo, una sospensione e il congegno
è rotto ed è l'inquietudine, lo smarrimento.
Vedo gli occhi delle amiche e degli amici cercare disperatamente,
dopo una giornata di corse, di uscire dal velo di ansia
che li copre, per brillare di sorpresa e dirti la gioia
di esserci.
Nessuno vuol negare le durezze del tempo passato, ma oggi
ne sono nate di nuove.
Un tempo la vita conosceva ritmi più distesi, più
umani, conosceva il tempo della semina, ma anche quello
del riposo e dell'attesa. E nel cuore portavi i problemi
di un solo villaggio, il tuo: più in là non
c'era conoscenza.
Oggi ti alzi al mattino e la rassegna dei giornali ti carica
dei problemi del mondo intero: ti pesano negli occhi tristi,
perché a sciuparli è il senso tragico della
nostra impotenza. E tu non sei, non sarai mai un indifferente.
Il problema oggi sta proprio qui: come portare nei nostri
occhi i problemi e le inquietudini della vita del mondo.
Come attraversare le notti e non abbandonare la fiducia.
"La notte non è più notte davanti a te,
il buio come luce risplende": dice il canto. Non si
tratta di non vedere o di far finta di non vedere. Ma di
vedere, di percepire nella notte un Altro: la notte "davanti
a te"...
NEL
BUIO UNA PRESENZA
Non
è un'ingenuità: a dar luce è una presenza.
È come quando cammini per strade buie, ma una mano,
la mano di un amico o di un'amica, stringe la tua. Non è
più la stessa notte. Negli occhi risuscita la fiducia.
E non è forse vero che, se cammina al tuo fianco
una creatura che ti ama, è come se le pietre prendessero
a suonare e l'inverno a fiorire e le notti a illuminarsi.
È il miracolo dell'amore.
Scrive il Cantico dei Cantici:
"Ecco l'inverno è passato,
è cessata la pioggia, se n'è andata;
i fiori sono apparsi nei campi,
il tempo del canto è tornato
e la voce della tortora ancora si fa sentire
nella nostra campagna.
Il fico ha messo fuori i primi frutti
e le viti fiorite spandono fragranza"
(Ct 2, 8-13).
Gli
occhi sono abitati dalla fiducia.
LA
FIDUCIA HA UNA SORGENTE
La
fiducia -dicono i monaci di Taizé- ha una sorgente.
Forse l'abbiamo dimenticata. La sorgente è nello
sguardo di compassione che Dio posa su ciascuno di noi.
Questo è il vero miracolo.
All'inizio di un anno a Dio noi non chiediamo miracoli:
"Tuo miracolo, Signore" -dice una preghiera dei
monaci- "è la tua fiducia e il tuo continuo
perdono".
Miracolo buono, pane buono e fragrante per il cammino di
un anno è sentire su di sè e sul mondo lo
sguardo di compassione di Dio.
Lascia che riposi nel terreno come un seme questa certezza.
Il tuo cuore sarà sì spezzato dalla fatica
di vivere, ma non indurito. I tuoi occhi sì forse
sofferenti e stanchi, ma non cupi, non aggressivi.
Abbiamo l'aria -troppo spesso l'abbiamo- di chi vuole aggredire
la vita e per questo negli occhi abitano l'inquietudine,
l'aggressività, la durezza.
La vita non è da aggredire, è da custodire:
questo ci ricorda lo sguardo di compassione di Dio su di
noi.
Lascia che riposi nel tuo cuore questa certezza. La ritroveranno
nel tuo sguardo più tenero e misericordioso. Lascia
che riposi come un seme in te, fiorirà.
Un'amica per Natale mi ha regalato un vaso colmo di terra.
Sopra, appuntato, c'era un bigliettino. Il bigliettino diceva:
"Sono un narciso. Ho bisogno di dormire sul tuo balcone
fino a febbraio, senza essere innaffiato. Poi dammi da bere
e mi vedrai fiorire".
Così è del Natale, così è dello
sguardo compassionevole di Dio. Come un narciso. Lascialo
dormire nella memoria del cuore. E poi dagli da bere, lo
vedrai fiorire.
don
Angelo
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