LETTERA
A UNA NON CREDENTE
La
tua porta era ampiamente aperta, le luci accese, quasi un
invito a entrare. Era senza diffidenze.
Faceva contrasto -lo confesso- con altre porte timidamente
socchiuse, dalle quali ti senti guardato -o spiato?- per
una fessura. Microscopica esile fessura.
La porta era aperta. Tu mi guardavi, io ti guardavo. Mi
incuriosiva il tuo sguardo, nascondeva alcunché di
insolito, come se tu volessi dirmi qualcosa, ma non mi riusciva
di indovinare.
Intuivo che non volevi confonderti con il mio abbigliamento
da prete in cerimonia: nè con la mia tonaca nera,
nè con la bianca cotta e nemmeno con l'atto liturgico
di benedire una casa. Non era questo che ti interessava.
Guardavo sorpreso la porta aperta, ampiamente aperta, le
luci accese, quasi un invito a entrare.
"Non sono cattolica": dicesti. Succede, oggi più
di ieri, di incontrare uomini e donne che appartengono ad
altre confessioni religiose. Ma tu senza esitazioni a dire
che no, non eri credente. E quasi con la stessa forza e
sincertà a chiedermi di entrare: "...ma io desidero
tanto che lei entri nella mia casa. Lei è don Angelo,
vero? Mi è capitato di ascoltarla e, ancor più,
di leggerla...".
Non ricordo che cosa io abbia risposto. Non ha importanza.
Ricordo l'emozione che mi corse lungo il viso fino a sfiorare
gli occhi. Su, fino a commuovermi.
La porta era aperta, ampiamente aperta, le luci tutte accese.
Nella luce anche tu emozionata.
OCCHI
VIVI, COME LA LUCE
Scendendo i pochi gradini, una rampa di scale della tua
casa in via Amedeo d'Aosta, nel cuore ti andavo associando
-penso che non te ne abbia a male- alla figura di un medico,
che, un giorno di novembre, vidi arrivare in ufficio parrocchiale.
A dire il vero, Danilo, il sacrestano, l'aveva un poco forzato.
A lui bastava recapitare una lettera.
Anche lui, come me, non più giovane. Ma, ancor prima
che parlasse, mi incantò per i suoi occhi vivi come
la luce, lui che si sarebbe definito un agnostico.
La lettera iniziava così: "Caro don Angelo,
ci siamo incontrati non più di due volte molti anni
fa. Ma da più di dieci anni io porto nel mio ricettario
la sua poesia sull'incomunicabilità di chi viaggia
senza vedersi sullo stesso autobus, ma tutta questa indifferenza,
e lo scoramento che da questa può venire, in un sol
momento scompare per la presenza di una mamma che scambia
tenerezze con il suo bimbo nel marsupio: giocano con gli
sguardi e sorridono al futuro...".
La lettera continua, mi commuove la gratitudine, la sensibilità
di uno che si definisce agnostico, la luce che abita i suoi
occhi.
PERCORSI
COMUNI DEL CUORE
È quasi notte e mi sto interrogando. Mi sto chiedendo
perché oggi, festa dell'Epifania, in questa sera
piovosa -ora che la luce e i ceri nella chiesa sono spenti
e domani riporremo le comete- mi facciano compagnia qui,
nella casa, mentre la pioggia bussa timida ai vetri, i vostri
due volti, quasi fossero la coda luminosissima di una cometa.
Mi vado anche chiedendo se l'emozione di questi incontri
non venga a segnalare percorsi comuni del cuore, comunanza
di pensieri e sentimenti.
Per me voi siete l'immagine inquieta della ricerca, volti
di Magi che interrogano gli astri del cielo e le strade
della terra, uomini e donne del desiderio.
Forse perché da tempo ho lasciato l'immagine della
fede come assetto dottrinale, somma preconfezionata di definizioni
e precetti che attraversano immobili il tempo, forse perché
la verità e la fede mi appaiono sempre più
come un viaggio, il viaggio dei Magi, mi sento con voi e
come voi abitato dal desiderio.
Scrive un carissimo amico: "Credo sia difficile trovare
in un manuale di teologia consacrato alla fede un capitolo
intitolato La fede come sorpresa. È un peccato. Perché
il silenzio su questo aspetto rischia di togliere alla fede
quell'elemento di dinamicità senza il quale essa
perde vita e significato: La vita è moto, si diceva,
e chi cammina, o chi parte per un viaggio, sa di dover mettere
nel preventivo una o più sorprese. Perché
non dovrebbe essere così anche della fede, che è
pure un viaggio, come ci ricorda la storia del Magi? E se
questo è vero, cosa c'entra con la fede il pensare
l'eredità cristiana come un insieme di sicurezze
che, una volta acquisite, magari in blocco e a prezzo forfettario,
mette al riparo da ogni ulteriore inquietudine" (Domenico
Pezzini).
Questa mattina, alla messa dell'Epifania, dicevo: "Non
dovremmo meravigliarci, nè tanto meno scandalizzarci
se lungo lo scorrere degli anni qualcosa è cambiato,
qualcosa del nostro modo di vedere Dio, di vedere il prossimo,
di vedere il mondo, se è cambiato qualcosa del nostro
modo di intendere e vivere la vita, se abbiamo imboccato
qualche strada diversa. È scritto dei Magi: "...per
un'altra strada fecero ritorno al loro paese".
Sorprendente il cammino! E dovremmo ringraziare Dio delle
sorprese della fede. Anzi, in assenza di sorprese, dovremmo
chiederci se la nostra è fede vera o un pacchetto
preconfezionato di definizioni e di precetti, una scatola,
un contenitore".
ACCENSIONI
E SPAESAMENTI
Mi è capitato più volte di interrogarmi su
questo tempo, da più parti vituperato: tempo di luci
inattese e di buio improvviso, di presenza e di assenza,
di accensioni e di spaesamenti.
Alla fine ho concluso che vivere rimpiangendo l'immobilità
del passato significherebbe vivere da perenni frustrati.
Sì, è vero, il nostro è in parte un
tempo di confusioni. Il problema è come viverlo.
Puoi vivere i giorni della confusione arrendendoti: la confusione
diventa così l'anticamera del relativismo. Oppure
puoi vivere i giorni della confusione come appello all'immaginazione:
la confusione diventa allora l'anticamera della ricerca.
Tengo tra le mie carte una riflessione di Leonardo da Vinci,
che, tempo fa, due carissimi amici, Marco e Susan, mi hanno
passato. La trascrivo così com'è: il sapore
antico la rende -è vero- meno immediata, ma ancor
più intrigante:
"Se tu riguarderai in alcuni muri imbrattati di varie
macchie o in pietre di vari misti, se avrai a invenzionare
qualche sito, lì potrai vedere similitudini di diversi
paesi ornati di montagne, fiumi, sassi, alberi, pianure
grandi, valli e colli; ancora vi potrai vedere diverse battaglie,
ed atti pronti di figure strane, arie di volti, ed abiti,
ed infinite cose, le quali tu potrai ridurre in integra
e buona forma: e interviene in simili muri come nel suono
delle campane, che nei loro tocchi troverai ogni nome e
vocabolo che tu immaginerai.
Non disprezzare questo mio parere, nel quale ti si ricorda
che non ti sia grave fermarti alcuna volta a vedere nelle
macchie dei muri, e nella cenere del fuoco, o nuvole, o
fanghi, o altri simili luoghi, nei quali, se saranno da
te ben considerati, tu troverai invenzioni: perché
nelle cose confuse l'ingegno si desta" (Leonardo da
Vinci, Trattato della pittura, precetto 63).
Con un abbraccio forte.
don
Angelo
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