articoli di d. Angelo


 

HO SOGNATO UN PAESE DI VOLTI

È Capodanno. Ho sognato.
E mi sono sentito anche in colpa. Perchè qualcuno -oggi più di ieri- va accusando i sogni -e chi li fa- di debolezza.
Mi sono riconciliato, leggendo su uno stralcio di giornale, che un'amica mi ha passato, questa frase di Tonino Bello, Vescovo non dimenticato: "Una Chiesa che non sogna non è una Chiesa, è solo un apparato. Non può recare lieti annunzi chi non viene dal futuro".
Ho sognato un paese di volti. Il volto di Dio ho sognato. E ho sognato i vostri volti. Forse in modo ancora più struggente i vostri, in questo inizio d'anno 1996.

LA NOSTALGIA

E, a dilatarne il desiderio e la nostalgia, questa chiesa, oggi con molte assenze, i molti posti vuoti, le sedie vuote, e non solo quella del profeta Elia, che deve essere tenuta vuota fino al giorno del suo ritorno.
Assenti i volti e non -come persistono a dire i soliti pessimisti- per via della veglia di fine anno nè delle "orge sfrenate del demonio", di cui parla l'ultima preghiera del Messale.
Anch'io tra i preti che ogni anno si prendono l'"arbitrio" di sostituire con parole più aderenti alla realtà le "orge sfrenate", anch'io tra i preti, rimproverati per questo arbitrio, di recente dalle colonne del quotidiano cattolico.
A dilatare in questo Capodanno il sogno dei volti una coincidenza: è morto, proprio sul finire dell'anno, quasi novantenne, Emmanuel Levinas, filosofo di origine lituana, ma con forti radici ebraiche, che ha intensamente rivendicato nella sua riflessione la centralità del volto.
A Emmanuel Levinas è corso il pensiero, ascoltando oggi le parole bellissime custodite nel formulario liturgico di benedizione del Libro dei Numeri, parole che mi ritroverò, quasi senza avvedermene, nel cuore e sulle labbra in questi giorni di inizio anno: "Il Signore faccia brillare il suo volto su di te e ti sia propizio. Il Signore rivolga su di te il suo volto e ti dia pace".

NON NASCONDERMI, SIGNORE, IL TUO VOLTO

Benedizione è il volto di Dio: "Il tuo volto, Signore, io cerco. Non nascondermi il tuo volto".
"Non nasconderci il tuo volto, Signore": così ti prego ogni volta che mi sembra di leggere in occhi tristi e angosciati il peso di sofferenze che si aggiungono a sofferenze, fin quasi a pensare -perdonami- a un tuo accanimento.
E' allora -in modo particolare- che mi viene spontaneo invocare: "Fino a quando? Fino a quando, Signore, ci nasconderai il tuo volto? Non nasconderci più a lungo il tuo volto, Signore".

AVRESTI TUTTE LE RAGIONI

Mi succede di pregarti di non nascondermi il tuo volto, anche quando mi prende sgomento per la mia fragilità, per le mie meschinità, per le mie vigliaccherie d'ogni giorno.
Avresti tutto il diritto di girar via da me il tuo volto. E io avrei tutte le ragioni per pensarti un Dio irato, tutte le ragioni per nascondermi come Adamo. Come sostenere il tuo sguardo, Signore?
Ma poi eccomi da te ricercato come Adamo: Dove sei uomo? Dove sei donna?
E come Caino eccomi, per misericordia, segnato sulla fronte, perché tutti di me abbiano misericordia.

E non sarà l'abisso
della mia lontananza
a sfiorare il tuo manto, Signore?

Dal profondo ho toccato
tremando
la tua tenerezza.

Di questo
e null'altro
essere memoria
vivente
sulla terra.

INTRONIZZAZIONE E DEPOSIZIONE

Ricerchiamo una terra illuminata dal volto di Dio. Ricerchiamo una terra illuminata dal volto dell'altro.
Abbiamo pensato di aver fatto un passo in avanti, insegnando che ciò che conta è "essere" e non "avere". Ma ora scontiamo, dentro e fuori le chiese, tutta l'ambiguità del verbo "essere", senza precisazioni.
L' "essere" arrogante, ubriaco di sé, presuntuoso sbandieratore delle sue certezze, assertore cieco dei suoi diritti o l' "essere" in dialogo, l' "essere" che non si rifugia nei teoremi astratti ma condivide la realtà, l' "essere" innamorato del volto degli altri?
Tutti abbiamo sotto gli occhi gli esiti infausti di una cultura che ha privilegiato, enfatizzato in modo ossessivo e rozzo l' "io": l' "io" che finisce per cancellare il volto dell'altro, esiste solo la mia immagine; non do spazio: esisto solo io; l' "io" che non da voce: si senta solo la mia voce!
Vorrei richiamare un simbolo -anche se non l'unico- dell' "io" che cancella il volto dell'altro: tutti, chi più chi meno, ci siamo in passato fermati a contemplare la lunga carrellata dei tabelloni elettorali e quei volti straripanti e arroganti che andavano ad occupare gli spazi riservati ad altri volti. Forse anche solo questo avrebbe potuto indurre alcuni di noi a non votarli. Simboli inquietanti dell' "io" che cancella il volto dell'altro.
Emmanuel Levinas ancora ci parla -dalle sue pagine- e lancia con intensità un appello alla deposizione del tiranno. Il tiranno da deporre è l' "io" accentratore, il mio "io" che cancella l'altro.

L'ATTENZIONE

Perché ciò avvenga, occorre predicare, in tutti modi e in tutti i luoghi che la ricchezza vera è il volto dell'altro.
Accorgerci dei volti potrebbe prefigurarsi come un primo passaggio.
Succede che siamo così rinchiusi nelle nostre cose, così ripiegati, purtroppo, su noi stessi e sulle nostre cose da non vedere il volto dell'altro.
Ci possono rinchiudere in prigioni buie anche le cose più sacrosante.
Mi sono sentito lacerare da questa riflessione pochi giorni fa, una mattina di sole, su un treno diretto a Varese.
Per non "perdere tempo", mi ero portato libri e riviste da leggere: avrei incominciato a riflettere sui testi biblici della vicina festa dell'Epifania. Me ne stavo chiuso nei miei pensieri, il treno correva veloce, quando, poco fuori Tradate, per un attimo alzai gli occhi dal libro. Ed ecco apparire, al di là dei vetri sporchi, accecati dal sole, le sagome innevate della catena del Monte Rosa in un paesaggio finalmente libero da nebbie. Da tempo dovevano essere apparse all'orizzonte senza che me ne accorgessi. Chiuso nei miei libri sarei sceso a Varese, senza aver "perso tempo", ma perdendo il dono più emozionante di quel viaggio.
Fu come un segnale. Mi ridestai a pensare quante e quali occasioni perdiamo, chiusi come siamo nelle nostre cose "sante". Anche noi ecclesiastici, noi non così lontani dagli uomini religiosi, che consultarono i libri all'arrivo dei Magi a Gerusalemme, senza avvedersi dell'emozione che ardeva in volto a quei pellegrini di terre.
Molto simili anche noi ai discepoli che allontanano i bambini per proteggere l'incanto dei sermoni del Signore, molto simili anche noi agli apostoli, che, venuta la sera, invitano il Maestro a congedare la folla, senza accorgersi della fatica che si legge sui volti. Così diversi gli apostoli da Gesù, preoccupato da quei volti stanchi. Lui scrutatore di volti.

IL RISPETTO

Se il primo passo verso un paese di volti è l'attenzione, il secondo passo è il rispetto.
Il volto dell'altro così diverso dal mio è interrogazione aperta, nel cielo della mia vita. E' una domanda.
E la domanda spesso è sospettata, quasi fosse un pericolo, nei nostri ambienti, dove tutto è implacabilmente definito, dove la verità è la nostra, dove ai "lontani" -poverini!- bisognerà pure insegnare qualcosa.
Giungono gli uomini senza rivelazone e pongono una domanda: "Dov'è il nato re dei Giudei?". E la domanda turba.
Rispettare il volto è accorgersi che dal volto dell'altro Dio mi parla. Mi parla con il suo mistero.
Mi parla dal volto di un figlio come dal volto di una madre dal volto di un malato come dal volto di un morente o di un neonato. Dio mi parla. E quindi stare in ascolto.
Sono volti da capire. E capire è accogliere, è ospitare, non è inglobare sacrificando la mia e altrui alterità.

LA CAREZZA

Volti da accarezzare. E non è sempre la mano che accarezza. Spesso è uno sguardo, la tenerezza di uno sguardo.
Perché la carezza assunta come simbolo? Forse perchè una carezza, mentre segna una vicinanza, è lontana da ogni significato predatorio. Ha la dolcezza della soglia.
Molti di noi ancora ricordano -il fascino di quelle parole rimane intatto nel tempo- l'invito di Papa Giovanni, in una notte di luna a rientrare nelle proprie case portando ai bambini la carezza del Papa.
Quella carezza -a volte mi prende un pensiero: quanti bambini accarezzati quella notte!- aprì una comunicazione.
Non è detto, non è così infallibile che più stai in alto e più gridi, più ti fai sentire.
Un Papa indimenticato, quella notte, ci insegnò che, se accarezzi un volto, allora ti fai sentire. Anche da uno che non conosce la tua lingua, ma conosce il fascino di una mano che accarezza il volto.

don Angelo


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