ED
ORA SULLA RUVIDA PAGLIA
La
nascita e poi la vita.
Mi chiedevo nei giorni di Natale: Dove nasce un bambino?
E dove deponi un bambino?
C'è chi nasce in una grotta di pastori; c'è
chi nasce in una casa; c'è chi nasce in una sala
parto.
C'è chi è deposto in una mangiatoia e c'è
chi è deposto in una culla.
Ma, guardando le cose più in profondità, dove
nasce un bambino e dove lo deponi? Nasce in questa storia
degli uomini; lo deponi in questa storia fatta di luci e
di ombre; lo deponi in questa umanità, la nostra
e non un'altra; non quella dei sogni, ma quella dell'esistenza
quotidiana.
"Depose il bambino nella mangiatoia": è
scritto. Anche il bambino del Natale va deposto nel presepe,
nella storia: nella storia così com'è.
Te la immagini una madre che, per paura, si tiene stretto
per sempre il bambino tra le braccia? Non sarebbe la Madre
del Vangelo.
Eppure ci sono dei cristiani che il Bambino se lo terrebbero
sempre tra le braccia, per loro: temono le contaminazioni.
La paglia - pensano - è ruvida e poi
odora
il fiato grosso degli animali.
Forse è ora che guardiamo con aria disincantata la
Vergine che depone dolcemente, ma senza disdegno, il Bambino
nella storia degli uomini.
Sono tante le immagini che potrebbero, quasi icone, custodire
il gesto tenero di Maria che depone il Bambino sulla ruvida
paglia. E il desiderio sarebbe di accendere davanti ad ognuna
un lume: l'icona arde per il lume che vi hai acceso davanti
e che la fa vibrare ininterrottamente
Ricorderò due immagini: una Messa, quella di mezzanotte;
e una casa, una delle tante case.
UNA
MESSA SENZA INVITI
La
Messa di mezzanotte, ovvero il bambino sulla ruvida paglia,
la nostra ruvida paglia.
Più vado avanti negli anni e più la Messa
di mezzanotte mi incanta.
Mi suonano ormai lontane - ormai fuori tempo - le accuse
che spesso si muovevano a questa Messa, guardata per lo
più con sospetto, quasi fosse una Messa-salotto,
spazio atteso per sfoggiare l'ultima pelliccia e per mettere
in salvo, in extremis, la propria anima.
Chi ancora si attarda dietro queste ironie è fermo,
forse senza saperlo, a un immaginario del passato.
Ora è la messa sulla ruvida paglia: sulla ruvida
paglia della mia umanità e di tante altre umanità,
quante sono quelle dei fratelli e delle sorelle che sono
qui convenuti, L'umanità è questa, così
diversa e così in attesa.
A questa Messa, per grazia, non c'è un'umanità
selezionata: non vi si entra esibendo cartoncini-invito.
Non è una Messa per inviti - i nostri inviti -; è
una Messa a cui si arriva, sempre più, dietro un
invito che conosce solo le vie segrete del cuore.
UNA
NASCITA ALL'APERTO
E'
il fascino di questa Messa. Riflette da vicino il fascino
di un Dio che non seleziona la paglia dove nasce: gli va
bene quella ruvida della grotta.
Non ha selezionato neppure noi: i percorsi da cui veniamo
sono diversi. Ed è bene, è bello che sia così.
Guai se la strada fosse una sola, guai se il sentiero fosse
rigidamente unico, guai se non sopportasse i nostri umani
- quanto umani -sconfinamenti.
Da strade diverse, per sentieri diversi, con situazioni
diverse che ci battono in cuore. Ma oggi le strade conducono
qui. Come se ci fossimo detti: "se non arriviamo là,
non è Natale".
Finchè avremo occhi per incantarci davanti a una
Messa a cui arrivano tutti, il Signore sussurrerà
nel nostro cuore: "Non sei lontano dal vero Natale
del Figlio di Dio".
La tua Nascita, Signore, come la tua Morte, è all'aperto.
Lasciami immaginare che tu l'abbia voluta così anche
per questo: perché non ci fosse nemmeno da bussare
a una porta: e nessuno che si azzardasse a chiederti il
perché o il percome.
Non c'era porta a Betlemme. E nemmeno sul Golgota. Ci arrivi.
Entri nel mistero. Vedi. E adori.
L'INFINITO
CIELO D'UNA CASA
La
casa, una delle tante case, ovvero il bambino sulla ruvida
paglia, la nostra ruvida paglia.
Come la chiesa nella notte di Natale racchiude il mondo
intero, così spesso le nostre case.
I nostri condomini sono un mondo. Ospitano, nascondendoli
sotto un velo, i drammi e le attese dell'umanità.
Ricordo un condominio, uno dei tanti, visitati a dicembre,
in occasione della benedizione natalizia delle famiglie:
ne esci sconvolto, come se tu, in poche ore, avessi attraversato
l'infinito cielo della nostra umanità.
C'è chi porta il dramma del carcere, c'è chi
piange per un figlio che non è tornato nella notte,
c'è chi vive la lacerazione di un matrimonio ridotto
a poco più di una facciata, c'è la solitudine
sempre più vuota degli anziani, c'è il sorriso
prorompente e dolcissimo di una bambina che qualche tempo
fa hai battezzato. C'è la vita e c'è la morte.
C'è l'angoscia e c'è la speranza.
C'è il mondo. E' la paglia, la ruvida paglia della
nostra umanità. Ed è qui che va deposto il
Signore.
E
IL PIANEROTTOLO
Ricordo
che anni fa il nostro Arcivescovo segnalava la stranezza
di cristiani - per lo più impegnati - che attraversano
la città per andare a far comunità con quelli
del proprio gruppo e non si accorgono di quelli che abitano
ad uscio sul loro pianerottolo.
Ma, certo, a loro non va di deporre il Bambino sulla ruvida
paglia, preferiscono le culle sognate.
Niente di male. Ma non è più il Natale di
Cristo. Vi sarà custodita un'altra memoria, ma non
quella del Bambino del Presepe..
E' vero. Andiamo sempre più accusando la città
di estraneità, ne denunciamo impietosamente il gelo
dell'anonimato.
Ma troppo spesso la denuncia rimane fine a se stessa: se
ne parla quasi fosse un male incurabile, quasi non si potesse
far altro che assistere impotenti ala sua devastazione.
Si accusa la ruvida paglia. E se la illuminassimo con il
miracolo della condivisione?
DA
DOVE PARTIRE
E
dunque da dove partire? Da dove parte il Signore?
Dalla ruvida paglia. E senza la pretesa di cambiarla in
oro, ma con la fiducia che a poco a poco, gradualmente,
come succede per le cose degli uomini, la paglia si riscaldi
di luce.
Sulla paglia è deposto un bambino; non un gigante.
Quasi invito a partire dalle nostre povere misure, dai piccoli
gesti della nostra quotidianità, quelli che, ricordati,
fanno dire ai "giganti ": "Tutto qui?".
Anche davanti al Bambino di Betlemme, i "potenti",
gli "intelligenti" di turno dissero: "Tutto
qui?". E non si mossero.
E perché dunque, in una città dove tutti corriamo,
con la faccia incupita, non iniziare a sorriderci?
E perché nei nostri ascensori, anziché fissare
lontano il vuoto con le nostre pupille spente, non riprendere
a salutarci, a guardarci negli occhi con tenerezza, a parlarci?
E non è forse vero che al culmine di giornate di
stanchezza e di solitudine, più non ti sei sentito
stanco e solo, semplicemente perché qualcuno, guardandoti
con tenerezza, ti ha detto: "Sei stanco, vero?".
Anche Gesù si accorgeva della stanchezza.
E se partissimo tutti dai piccoli gesti, lasciando crescere
la luce sulla ruvida paglia?
Questa forse, e non altra è la luce: farti sentire
vicino con il cuore. Non basta regalare cose. Occorre regalare
se stessi.
Le mani del Bambino erano vuote, ma lì batteva il
cuore di Dio. Non era un Dio che fa piovere regali dal cielo.
Era un Dio che condivide.
don
Angelo
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