"NON
PASSATE DI CASA IN CASA"
Quasi
fosse una sigla musicale, la sigla che introduce.
Così una parola - una su tutte - mi si accendeva
nel cuore e mi accompagnava quest'anno, ogni volta che un
po' trafelato, con il fedelissimo chierichetto, mi accingevo
ad uscire di casa, per la benedizione natalizia delle famiglie.
Una parola di Gesù, parola suggestiva, forse anche
per la sua enigmaticità, parola custodita nel Vangelo
di Luca (Lc.10,7), nel segno forse di una provocazione.
"Non passate di casa in casa! ".
Quasi a dire che il nostro non dovrebbe essere un andare
superficiale, distratto, routinario, come se la casa fosse
da oltrepassare perché "vuota" e il mistero
abitasse altrove, più in là.
"il regno di Dio" - è scritto -" è
in mezzo a voi."
LUOGO DELLA SORPRESA
Non
passate di casa in casa. Ebbene qualche volta, patendo la
mia povera misura, mi è parso che il mio fosse, vuoi
per la fretta, vuoi per la stanchezza, un passare di casa
in casa.
Ora ne chiedo perdono. Perdono per ciò che non ho
intravvisto , per ciò che non ho capito, per ciò
che non ho condiviso. La casa è il luogo della sorpresa:
lasciati sorprendere.
Un rito, anche quello più sacro, lo puoi forse prevedere,
anche nei minimi particolari, e lo puoi ritrascrivere -
purtroppo, dico - senza sorpresa.
La visita nelle case no. Per qualche aspetto è improgrammabile,
come ogni incontro dove si accende il vissuto sorprendente
e inconfondibile delle persone.
Andare dunque per le case e lasciarsi sorprendere.
Il taccuino di questo affascinante viaggio ha nella memoria
pagine e pagine di appunti. Ne stralcerò, al di là
di ogni disegno precostituito, alcuni, che penso bello condividere.
CASA DI RINGHIERA
Una
casa di ringhiera. Senti alle spalle il fiato corto del
chierichetto che arranca dietro con fatica su per le scale,
all'inseguimento dell'ultimo piano.
Bussiamo a una porta. Bussiamo a un'altra. Spesso siamo
attesi. Qualche volta no.
Raramente ci capita di essere investiti con tanta amarezza
come in questa casa quasi buia.
Nella penombra dell'ingresso ti prende il cuore lo sfogo
amaro di questa donna anziana.
"Ci vuol altro" - ti dice - " ben altro che
le preghiere. Ma non vede come siamo ridotti? Non vede come
ci hanno ridotto i nostri governanti?".
Ascolto nella penombra. E' quasi un grido: non vedo gli
occhi, vedo il cuore.
L'anziana donna si sente ascoltata: la voce ora non è
più aspra, ma è pur sempre amara. Ti chiede
alla fine di pregare.
Pochi
gradini - venti o forse trenta - per raggiungere un'altro
piano : a volte sono pochi metri, ma è lunghissimo,
faticosissimo camminare, tanto è il peso che ti porti
dentro.
Penso alle ragioni amare di quella donna, allo spettacolo
troppo spesso avvilente di una classe politica eterna e
di basso profilo.
E come non patire sdegno e irritazione per parole e simboli
sacri, sfruttati senza pudore, per operazioni che non hanno
nulla, proprio nulla, di sacro?
E come non capire che, proprio a causa di chi abusa del
nome di Dio, una terra senza giustizia diventa per triste
disavventura un'amara accusa contro Dio?
CASA DELL'ARCOBALENO
La
chiamerei "casa di Betania", casa di amici, dove
anche Gesù trovava riposo nei giorni di gioia, ma
ancor più nei giorni di tristezza.
Ma, per rispetto all'amica che la abita, che non oserebbe
definirsi "credente", forse più giusto
sarebbe che la chiamassi " tenda di Abramo" o
"casa dell'immenso".
L'amica non è in casa. Ad accogliermi quest'anno
è una ragazza cilena, che mi prega di ritornare di
lì a poco.
Non finisce di sorprendermi questa casa dove ogni anno trovi
ospitato qualcuno: ragazze per lo più di colore,
di una nazionalità o di un'altra, con la massima
naturalezza.
Che io ti trovi o no, la casa è aperta. E se un Natale
sarà chiusa, potrò indovinarne l'interno,
di dietro l'uscio: potrò inseguire con l'immaginazione
i colori stesi, in armonie segrete, su bianche tele. Ma,
ancor più, di dietro l'uscio potrò inseguire
altri volti e i colori dei volti a comporre l'arcobaleno.
E se la chiamassi "casa dell'arcobaleno"?
CASA DELLA DANZA
Forse
fu solo una felice coincidenza. E il pensiero mi corse alla
casa di Ain Kari, la casa di Elisabetta, a pochi chilometri
da Gerusalemme, e all'incontro, soffuso di emozione e di
tenerezza infinite, tra le due donne che recavano in grembo
una creatura attesa.
"Al suono della tua voce" - disse la cugina, già
avanzata negli anni - "il bambino mi danzò di
gioia nel grembo".
Forse fu solo una coincidenza- una felice coincidenza -
quella che mi offrì la gioia di trovare riunite nella
stessa casa due giovani mamme.
La casa non era né dell'una né dell'altra,
ma nella casa era come se si danzasse di gioia alla vita.
Simona portava in braccio un bambino, nato la vigilia di
Natale lo scorso anno e, dopo un anno, ancora non era spento
lo stupore negli occhi; Cristina era come se cullasse con
tutto il corpo la sua creatura ancora nel grembo, dolcemente.
Sarebbe nata nei giorni che fanno veglia al Natale.
E non sarà forse la nascita - quella del Figlio di
Dio e quella dei nostri bambini- a ridare un sorriso a questa
Europa , invecchiata precocemente?
Te ne vai per le strade e quasi porti fisicamente il peso
di questo invecchiamento.
E non sarà segno di invecchiamento anche questa paura
di rischiare nuove vite, perché -si dice- che mondo
mai troveranno?
Come se fosse deciso per sempre, a priori, che alle generazioni
future mancheranno forza e immaginazione per progettare
nuove frontiere!
Esco dall'incontro con le due giovani madri e la "danza"
mi ha preso il cuore. Come quel giorno di ottobre su un
autobus di questa vecchia città.
Isola
senz'anima
l'autobus affollato
che ti strattona violento
nel paradosso della modernità
e a distanze stellari.
Spenti
i volti
gli occhi fissano vuoti
grigiori lontani.
E quasi è
anticamera del nulla.
Cerchi, quasi naufrago,
un segno.
Ti
seduce inatteso
volto di donna
che gioca ai sorrisi
col bimbo
stretto in un marsupio.
E volto cerca volto
in giochi inesausti
di tenerezze
Ora sai
che per avventura
e per grazia
può fiorire
anche il deserto.
RESPIRO D'IMMENSITA'
Sono
tutti bellissimi i doni; splendidi e cari i cartoncini di
augurio che ricevi a Natale.
A farli belli, splendidi e cari bastano quei nomi e i volti,
che, dietro i nomi, accendono emozioni profondissime.
Ma, fra tutti, uno vorrei ricordare. Non è un cartoncino,
è un foglio strappato di quaderno. Sarebbe da incorniciare,
tanta e tale è la luminosità che vi traspira.
Sta scritto: "Accettate questa piccola offerta, data
col cuore, appunto perché sono di un'altra religione,
ma rispetto ogni servo del Signore".
E respiri l'immensità, del cielo e del cuore. L'immensità
di Dio.
Spazi di cielo senza preclusioni. Gratuità luminosissime
che ti consentono di dare "col cuore" anche all'uomo
di un'altra religione e di chiamarlo "con rispetto"
servo del Signore.
Una luminosità che ancor più si avviva nel
confronto con tante nostre meschinità e grettezze
di cuore, mascherate talvolta di giustificazioni religiose.
E alla mente ritornano le tue parole. Signore. "Vi
precederanno
". "Verranno dall'Occidente
e dall'Oriente
". "Non ho mai trovato una
fede così grande in Israele
". "
CHIESA COME CASA
Ci
sono occasioni in cui la nostra chiesa prende, quasi visivamente,
il volto e il calore di una casa.
Succede per lo più nel corso di liturgie che sfiorano
l'intensità del mistero. Ma succede pure in altre
occasioni.
E' successo quest'anno nei giorni che precedevano il Natele,
quando i ragazzi convenivano per la Novena.
Si respirava aria di casa, quando don Massimo, attorniato
da uno stuolo di ragazzi, accendeva ogni sera un lume e
raccontava nel silenzio il Mistero.
Qualcosa di simile è successo anche la sera del 19
dicembre, quando ci siamo donati uno splendido concerto
di Natale, protagonisti la Cappella Mauriziana di Milano,
il Coro S. Giovanni di Lecco e la Kammersymphonie di Milano.
E tutti noi rapiti e incantati per l'eccezionalità
dell'evento. Alla passione, alla professionalità,
alla freschezza della musica e del canto facevano riscontro
l'intensità dell'ascolto e il visibile rapimento
di chi era accorso numeroso quella sera.
Ancora una volta si respirava nella nostra chiesa aria di
casa, quasi fosse una festa di famiglia, con qualche nonna
novantenne, che, pur di esserci, aveva sfidato il buio fitto
delle nostre strade , e con qualche bimbo, che a lungo lottò
quella sera, con il sonno.
"E' proprio una casa
": mi dicevo, contemplando
estasiato Annalisa - quattro anni - che alla fine ciondolava
, tenera, per il sonno, fino a rimanere accucciata sulle
spalle della mamma.
I vecchi hanno visioni. I bambini sognano. Il mistero è
raccontato.
don
Angelo
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