COME
FOGLI DI UN DIARIO
DEBOLE CARNE
Tra
i fogli di questo improbabile diario, che tiene le ultime
ore dell'anno, mi sono ritrovato anche gli appunti della
Messa "nella notte santa".
Cedo alla dolce insistenza di Paolo, di Silvia e di altri
che me ne hanno parlato, esprimendo il desiderio che, almeno
in parte, fosse ritrascritta.
Paolo e Silvia sono un simbolo -così mi pare di capire-
di un'attenzione del cuore. Oggi si va sempre più
dilatando la sensibilità alla Parola.
Che una ragazzina venga di tanto in tanto a chiederti gli
appunti dell'omelia è cosa che ti prende il cuore;
tanto è abusata e pubblicizzata l'immagine di una
gioventù che rincorre ben altre cose!
Da
un'omelia nella Notte santa di Natale:
La
liturgia della notte canta il Natale come il farsi carne
del Verbo: "E il Verbo si fece carne
e noi vedemmo
la sua gloria".
Il Verbo che si fa carne è il grande paradosso: la
divinità si lega alla fragilità estrema della
carne.
E noi vedemmo la sua gloria! Dove? In quella carne fragile
e sciupata, in quelle fasce e in quella mangiatoia. E noi
vedemmo la sua gloria.
Se ci fermassero questa notte per le strade e ci chiedessero:
Che cosa hai visto? Sei stato in chiesa; che cosa hai visto?
Nel caso il Natale non fosse stato definitivamente svuotato,
dovremmo dire: "Ho visto la sua gloria". Ma dove?
"In un poco di carne debole, fragile e indifesa".
Probabilmente ci prenderebbero per pazzi. "Ma come"
-ci direbbero- "la gloria abita altrove!".
Per il mondo forse. Ma non per Dio. Il Natale dice: cerca
la gloria di Dio nella debole carne dell'umanità.
Debole carne è questa chiesa: da troppo sicura deve
imparare a condividere le ansie e le incertezze degli uomini.
Debole carne è il mio cuore: con i suoi trasalimenti
e le sue paure, con le sue attese e i suoi smarrimenti.
Debole carne è la vita di tanta gente: porta pesi;
e non sai come fanno le spalle a reggere senza spezzarsi.
Debole carne è questa città e i suoi problemi:
ignorati nell'agenda di chi conta, segnalati -ma solo a
parole- sui manifesti di chi cerca voti.
Debole carne è la nostra vita quotidiana e la fatica
di ogni giorno: la fatica di discernere e di rischiare.
Debole carne! Ebbene lì, nella debole carne e non
altrove, è da cercare, da servire, da amare la gloria
di Dio.
Sulla debole carne ci conceda il Signore di chinarci, così
come Lui si è chinato, per sempre.
Allora nella fragile argilla dell'uomo e della donna abiterà
la luce di Dio. Abiterà la gloria di Dio".
COME
UN GREMBO DI DONNA
È
nato Matteo. E che sia nato nel giorno che veglia sul Natale
è per me più di una coincidenza. È
quasi un segno.
Così come segno fu per me, nel passato Avvento, l'attesa
tenera di Simona, la sua giovane mamma.
Mi
era venuto spontaneo scriverle una lettera -una lettera
aperta-, sul giornalino dei ragazzi. La lettera, tra l'altro,
diceva:
"Carissima
Simona,
mi fa compagnia -tenerissima compagnia- in questi ultimi
giorni di Avvento, il tuo volto, sfiorato da una dolcezza
infinita, quasi trasfigurato -oserei dire- da quella vita
che ti porti in grembo.
Sono passati mesi e non si è sciolto l'incanto. Ti
guardavo in silenzio mentre mi parlavi di quella tua creatura
che vive nel segreto. Ed era come se i tuoi occhi fossero
volti al di dentro, come se in essi abitasse una protezione
per quella segreta presenza.
La dolcezza. E poi l'emozione che si leggeva negli occhi,
quasi un brivido di tenerezza, quando mi dicesti che -sì-
avevi sentito battere il suo cuore dentro di te.
Mi accompagna il tuo volto verso la notte di Natale. Perché
il Natale, quello vero, non può essere impoverito
nella corsa alle cose: è una presenza da scoprire,
una presenza da cui essere illuminati. È scoprire
che il Verbo di Dio non è chissà dove o chissà
come.
Si è fatto carne, proprio come questa creatura che
vive e palpita in te; ed ora vive nel grembo piccolo, fragile
e oscuro della nostra vita.
E dunque la nostra vita non è una vita vuota, né
la terra una terra disabitata né il cuore una landa
di ululati. Cuore e terra e vita come il grembo di una donna,
come il tuo piccolo, fragile, oscuro grembo, Simona.
Inseguo in questo Avvento i tuoi occhi, occhi che contemplano
più dentro che fuori, più nel mistero della
persona che non nella magia opaca delle cose.
Inseguo la tenerezza del tuo ascolto: tu tesa a sorprenderti
e a trasalire per i messaggi più segreti che solo
il silenzio può rivelare.
E d'istinto mi viene fatto di comparare la dolcezza infinita
del tuo sguardo con il gelo dei nostri occhi vuoti, inquieti,
mai sazi, di noi -dico- che andiamo affollando i negozi
(
).
Il chiasso, anche quello religioso, non permette che ci
si accorga dei germogli. E Dio invece viene come un germoglio
che spunta su un tronco tagliato.
Ma senza il silenzio di chi sa contemplare, chi mai si accorgerà?
Senza i tuoi occhi, Simona, come potrà essere Natale?
E come pretendere di esserne illuminati?".
Ora
è nato Matteo.
È nato, quando, nelle Messe della vigilia, noi preti,
con la voce forse un po' stanca e monotona, leggevamo la
lunga litania dei nomi che fanno la genealogia di Gesù.
A quei nomi il cuore degli Ebrei si accendeva. Si illuminavano
scorci di storia, si illuminava la consapevolezza che un
filo rosso e luminoso aveva guidato la loro storia. E tutti
i nomi, nella riflessione dell'evangelista Matteo, convergono
verso il nome che salva, quello di Gesù, il nome
che dà senso a tutti nomi, che dà vita a tutti
i nomi, che illumina ogni nome di uomo e di donna sulla
terra.
E così, mentre leggevo quei nomi, mi veniva spontaneo
pensare ai nostri, ai nomi più cari, e li aggiungevo
alla grande luminosa litania. Mi riempiva il cuore di speranza
il pensiero che Cristo, nascendo in mezzo a noi, ha scritto
per sempre, indelebilmente, il suo nome, accanto a ogni
nostro nome; ora accanto al suo c'è anche il nome
di Matteo.
QUASI
UNA CAREZZA
Tra
gli innumerevoli segni di vicinanza e di affetto -gesti,
scritti, voci, sguardi- che hanno dolcemente illuminato
il mio Natale, quasi carezza di Dio sulla pelle -ricordate
la "carezza" di Papa Giovanni, in una notte di
luna? - due biglietti inconsueti -l'uno anonimo, l'altro
non anonimo, ma quasi- mi hanno particolarmente colpito.
Uno -dicevo- è senza nome. Ed è nella direzione
del sogno: il sogno, custodito nel progetto educativo della
nostra comunità parrocchiale.
È indirizzato alla Parrocchia e dice:
"Un caro augurio a tutti voi promotori di una "politica
ecclesiastica" che ha pochi riscontri, ossia quell'adoperarsi
più per i bisognosi che per voi stessi che vi fa
estremamente onore. Complimenti! Un parrocchiano".
Il biglietto è anonimo, ma segna una direzione: una
meta, ancora molto lontana, verso la quale instancabilmente
puntare.
L'altro biglietto non è anonimo. Ha un nome. È
di Sonia B., un nome sino a pochi giorni fa senza volto.
L'ho trovato affisso a una porta, in una casa di via Plinio.
Il chierichetto ed io già stavamo per suonare, quando
lo sguardo fu attratto da un biglietto.
Era indirizzato al "caro sacerdote" che sarebbe
passato quel pomeriggio per la benedizione natalizia.
Sonia nel biglietto diceva il suo rammarico di non poter
essere presente e, insieme, il suo desiderio che fosse fatta
una preghiera per la sua casa, nella certezza che la preghiera
di benedizione va oltre i muri; lasciava un'offerta e ringraziava.
Quella casa era solo apparentemente chiusa, in realtà
era più aperta di molte altre. E il nome solo in
apparenza era senza volto: le dava volto la tenerezza di
quel biglietto appeso alla porta.
Ora Sonia ha anche un volto: abita tra noi, dal lunedì
al venerdì, perché a Milano l'ha condotta
il lavoro; ma il fine settimana fa ritorno alla sua casa
di Bergamo.
Ancor più tenero quel biglietto!
Quel pomeriggio di dicembre scendevo le scale e sognavo.
E se scrivessimo -faccio per dire- messaggi, sulle nostre
porte, spesso anonime e sbarrate?
E se lasciassimo un biglietto che sa di accoglienza?
don
Angelo
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