DUE
ANNI DOPO
Me lo ricorda il cuore.
Sì, mi ricorda che da due anni sono in mezzo a voi.
L'anniversario cade in questi giorni e, andando di casa
in casa, c'era chi dolcemente me ne faceva memoria. E il
ricordo sembrava dilatarsi negli occhi in una sorta d'interrogazione:
quali sentimenti, quali sensazioni, dopo due anni?
Due
anni sono pochi e sono tanti.
Da un lato ti sembra d'essere appena arrivato: te ne vai
per le strade - anche tu prete hai preso il passo di questa
città che corre - e quando te ne vai solo, interroghi
le case con l'anelito di sposare ad una finestra un volto.
Poi entri per la benedizione natalizia nelle case e ti senti
dire con dolcezza: "Lei non ci riconosce, perché
siamo in tanti, ma noi la vediamo e l'ascoltiamo ogni domenica!".
Due
anni, forse è poco. O forse è tanto?
A volte ti prende come la sensazione che sia tanto. Come
se avessimo fatto tanta strada insieme. Come se - perdonatemi
- le cose fossero rimaste quelle di prima, ma fossimo diversi
di dentro.
LA
VISITA AL CANTIERE
Camminando,
camminando.
Il mio non è un bilancio. Per stendere un bilancio
occorre sedere, sostare a lungo, immobili e concentrati.
Anche questi sono appunti, come quelli dello scorso dicembre,
sono appunti di viaggio, durante la visita al cantiere,
un cantiere che non finisce di affascinarmi, il cantiere
della parrocchia.
Visita al cantiere, e dunque a tutto ciò che vive
e si muove in mezzo a noi.
Permettete
che aggiunga subito che il cantiere - o il campo, direbbe
il Vangelo - non è solo ciò che si vede, fa
rumore e si muove. Cantiere sono anche le promesse custodite
nei germogli, cantiere è anche il seme nascosto sotto
la terra indurita dal gelo dell'inverno, cantiere sono anche
i nostri aneliti.
Fanno parte sì, e non ultima, del cantiere i nostri
sogni: quelli che vanno oltre le premesse. Se osiamo ancora
dirci adoratori di un Dio cui nulla è impossibile:
va oltre le premesse. È il Dio della Promessa.
SORPRESA
E GRATITUDINE
La
visita al cantiere non può non aprire il cuore alla
gratitudine.
La città non è un deserto. Forse vanno anche
sfatati certi luoghi comuni: i luoghi comuni di quelli che
stanno fuori le case, fuori della vita della gente; osservano,
ma sempre dall'alto.
Rivivo anche qui puntualmente un'emozione che mi prendeva
il cuore a Lecco, quando, la sera, vedevo il cielo incendiarsi
in un rosseggiare infiammato di tramonti e in quel cielo
sentivo custoditi volti e nomi: "Vi direte beati, perché
i vostri nomi sono scritti nel cielo".
La stessa emozione qui, a Milano, anche se il cielo delle
notti urbane lo insegui tra casa e casa e sembra dilatarsi
e rapirti in profondità: e, in quel profondo, custoditi
volti e nomi che hanno preso lo spazio delle tue giornate.
La visita al cantiere non può non farti indugiare
a contemplarli.
Un
cantiere che tu non sai abbracciare - tanto è vasto
-: chiesa e strade e case; e ognuno che vi mette fede e
passione, ognuno che vive ore di innamoramento e ore di
delusione; c'è chi progetta, c'è chi sogna,
c'è chi costruisce; chi conduce e chi si lascia condurre
per mano.
È la sorpresa per i carismi insospettati e meravigliosi,
custoditi in mezzo a noi: quanta intelligenza, quanta passione,
quanta competenza, quanta sensibilità, quanta iniziativa.
I carismi, certo, delle persone più impegnate nella
comunità; ma non solo di quelle. L'attenzione, per
esempio, e l'intensità delle nostre assemblee liturgiche.
La verifichi nelle parole ricordate: ti stupisce l'attenzione
a questa tua povera voce, senza toni da oratore, che vorrebbe
essere - e spesso non ci riesce - nuda trasparenza dell'evangelo.
UN
SOFFOCAMENTO
A
volte però allo stupore per la varietà dei
carismi s'accompagna una strana sensazione, la sensazione
che la ricchezza non sia pienamente valorizzata e corra
il rischio di venire sprecata e soffocata.
Quali le cause?
Una mi sembra di scorgerla nel pericolo dell'arroccamento:
il pericolo cioè di fare di noi stessi, delle nostre
idee, dei nostri ambienti, delle persone che la pensano
come noi, il centro cui tutto, o quasi, finisce per convergere.
Succederebbe senza avvedersene un appiattimento dell'orizzonte
e un restringimento del cuore. A lungo andare ci si troverebbe
ad avere l'aria del "fratello maggiore": l'aria
spenta di chi si affatica, ma senza gioia, in un'osservanza
fedele ma arida, senza sussulti del cuore.
Una
seconda causa che non consente la piena espressione dei
carismi mi sembra di intravederla nel pericolo del frazionamento.
La vitalità di una parrocchia viene come soffocata
là dove si sfornano, a tamburo battente, iniziative
ma senza progetto, senza disegnare priorità, là
dove il punto di vista personale o di gruppo viene assunto
a criterio per giudicare ogni proposta; là dove il
"particolare" ha la meglio sull'universale.
A lungo andare, senza quasi accorgercene, faremmo la figura
di quei teologi che consumano il tempo a disputare sul sesso
degli angeli, quando problemi di vita o di morte bussavano
alla coscienza inquieta dell'umanità.
L'ANELITO
Il
brivido più profondo che, da un po' di tempo a questa
parte, attraversa i pensieri e i discorsi della comunità,
mi sembra appunto questo: l'anelito a non fermarsi, ad andare
oltre.
Quest'anno nelle nostre assemblee liturgica leggeremo il
vangelo di Luca. Forse non è casuale che Luca al
vangelo faccia seguire il libro degli Atti: il vangelo ti
fa salire con Cristo a Gerusalemme a contemplare la Pasqua
del tuo Signore, ma a Gerusalemme non ci si ferma - ecco
il libro degli Atti -; da Gerusalemme si parte, perché
l'evangelo è destinato a raggiungere gli estremi
confini della terra.
Il
pericolo è di fare delle nostre parrocchie la città
definitiva, dove tutto e tutti dovrebbero convergere, dove
rassicurare il cuore nel caldo delle sicure appartenenze,
uomini e donne di un cenacolo che non sarebbe più
quello biblico: quello biblico si apre appassionatamente
al mondo. Si aprono e ne escono non gli apparati delle crociate
né gli eserciti della salvezza, ma uomini e donne
"senza oro e senza bisaccia".
Se hai visto, mettiti in viaggio, come i Magi, come i discepoli,
come il diacono Filippo, sulle strade più comuni.
La strada appartiene a tutti, con il rispetto per una Parola
che non ti appartiene e per una strada che è di tutti.
Sulla
strada dunque. E nelle case. A scoprire magari - e quante
volte succede - che lo Spirito ti ha preceduto. Nelle case
dove spesso arde nel silenzio l'avventura più autentica
dello Spirito.
Mi porto ancora negli occhi dopo un mese il ricordo di una
casa, dove vive Paolo, un ragazzo handicappato grave. E
ancora mi risuonano nel cuore le parole della mamma di Paolo:
"Creda, mi sembra di essere in colpa, perché
io in parrocchia vengo continuamente ad attingere da lei,
e non do nulla.
Che cosa sono - pensavo - tutte le nostre iniziative in
parrocchia a confronto di questo vangelo vissuto eroicamente
nelle case?
E che cosa sognare per una parrocchia se non che la chiesa
si svuoti, dopo le celebrazioni, e si vada a vivere il vangelo
per le strade e per le case?
Ridiventare così gli uomini e le donne dello Spirito,
cioè uomini e donne condotti dal vento: "soffia
dove vuole e non sai di dove venga e dove vada".
DOCILI
E TENERI
Docili
al vento e teneri.
Chiedo scusa per queste note che, perché meno lucide,
si stanno allungando, con il rischio di annoiare.
Le chiudo con un episodio, aperto e chiuso nello spazio
breve di pochi secondi.
Il giorno di Natale, dopo una Messa, una donna, non più
giovane, ma indubbiamente giovane nello spirito, entra in
sagrestia e, facendomi gli auguri, mi dice sorprendendomi:
"Le siamo molto grati per i suoi aggettivi".
Io la guardo stupito. Aggiunge: "Alcuni sono molto
difficili: per esempio l'aggettivo "docile"; altri
sono molto cari e belli: l'aggettivo "tenero"
per esempio".
L'intuizione di una donna ci precede. Ci precede sempre.
Sì, docili al vento dello Spirito.
E teneri, della tenerezza del Signore.
Senza
tenerezza c'è l'inganno.
Quell'inganno che Charles Peguy così un giorno smascherava:
"Perché non hanno la forza di essere della natura,
credono di essere della grazia.
Perché non hanno il coraggio di essere del mondo,
credono di essere di Dio.
Perché non amano nessuno, credono di amare Dio".
Lo
spirito ci salvi dall'inganno.
Docili e teneri.
don
Angelo
|