L'ETERNO
E IL TEMPO
Tu
dici "Non ho tempo..."
Altri dicono: "Non so come passare il tempo: le ore
sono tutte uguali e vuote. Questa solitudine mi uccide..."
Dunque il problema e il mistero del tempo, evocato e quasi
dilatato anche da questo trascorrere di un anno nell'altro
- il vecchio anno nel nuovo -, la notte trascorre nell'alba.
E, insieme, la sensazione che un tempo -un tempo ulteriore-
ci è dato.
* * *
La
suggestione dello scorrere del tempo, quasi amplificata
dal luogo inusitato in cui mi ritrovo a stendere quelle
riflessioni: lo scompartimento di un treno in partenza che
si sta gradualmente riempiendo, mentre la voce assordante
dell'altoparlante riempie di sé le alte volte della
stazione Centrale, segnalando arrivi, partenze, ritardi.
Parte anche questo treno. E subito perforiamo muraglie bianche
di nebbia. Cancellata è ogni figura: vai come nel
mistero.
Sagome imprecise, quasi larve di realtà umane, affiorano,
come spettri di sopravvissuti, in un mare di opachi biancori,
mentre la sirena del rapido va segnalando in modo ossessivo
la sua invisibile presenza e forse anche la sua paura dell'ignoto.
*
* *
Il
tempo di chi vive e il tempo di chi muore.
Vado a esaudire un desiderio, quello di Maria Rita, che
sta "partendo": si parte anche per un cancro.
Ormai è alla morfina, una delle ultime spiagge del
tempo.
La precarietà del tempo. D'istinto mi si illuminano
nella mente alcune pagine della Bibbia: quella del Qoelet,
per esempio, con la sua smagata riflessione sulla povertà
del tempo:
"C'è un tempo per nascere e un tempo per morire,
c'è un tempo per piantare e un tempo per sradicare
le piante...
Un tempo per piangere e un tempi per ballare...
Per ogni cosa c'è il suo momento,
il suo tempo per ogni faccenda sotto il cielo."
*
* *
Dunque
la povertà del tempo. Una povertà inconsciamente
negata, quasi rimossa da questa generazione -la nostra-
che "gioca e guarda" (così l'ha sorprendentemente
fotografata l'ultima immagine del CENSIS), una generazione
che denuncia la propria incapacità a prendere la
vita così come è, e non a brandelli.
Quasi un rifuggire inconscio da una vita accolta nella sua
globalità.
Storditi dalle immagini televisive che adorano ed esaltano
gli uomini forti e belli, ricchi e affascinanti, rimuoviamo
dalla coscienza pagine e pagine di vita che ci rimandano
immagini diverse, che pure appartengono alla realtà
quotidiana e che sarebbero da amare: immagini di vecchiaia,
di malattia, di solitudine, di povertà, di una vita
sobria e austera, di impegno a volte oscuro e faticoso;
e finiamo per rincorrere il mito di una classe brillante,
quasi ultima spiaggia della nostra immaginazione, con la
conseguenza, purtroppo amara, che stiamo diventando tutti
uguali, banali, acritici.
*
* *
Quasi si rifugge o ci scandalizza della misura povera della
vita.
Penso perciò che non è privo di suggestione
il fatto che l'inizio dell'anno nuovo ancora porti i riverberi
del mistero di una nascita umile e povera, il mistero di
un Dio che non si scandalizza della povertà del tempo.
La parola che il Natale ha acceso nel buio delle nostri
notti non è di certo la parola "evasione",
bensì la parola "incarnazione".
"Il verbo si è fatto carne". E la "carne"
è l'immagine della nostra fragilità: il Verbo
chiuso nel piccolo grembo di una ragazza palestinese.
Certo il grembo è spazio angusto, oscuro, silenzioso;
ma custodisce, pur nel segreto, una dolcezza, una tenerezza,
un calore, sconosciute a tante immagini scintillanti, coreografiche
che nascondono faticosamente vuoto di vibrazioni, assenza
di pensiero, deserti dello spirito.
*
* *
Vivere
il Natale significa anche accogliere senza rancore questa
povera misura del tempo che segna di sé la nostra
vita e le esperienze umane.
Essere dentro, illuminandole dal di dentro come ha fatto
il Signore, dentro le situazioni della gente comune, senza
inseguire paradisi artificiali, dentro con la fiducia di
chi alla sua pazienza sa aggiungere un nuovo anno, in attesa
che l'albero faccia frutto, non con la precipitazione e
il fanatismo di chi mette la scure alla radice dell'albero.
*
* *
Dentro
a capire e a stupirsi anche per la luce custodita in questi
tuoi ultimi giorni, Maria Rita.
Hai preparato tutto, quasi fosse ora di partire e invece
l'attesa si prolunga.
"Attesa senza senso": direbbe qualcuno, leggendo
sul tuo volto i segni di un lungo ed estenuante soffrire.
"Un tempo perduto": direbbe qualcuno.
Tempo ancora di doni dolcissimi ed emozionanti, per chi
sa leggere "oltre".
Sconvolgente e affascinante, ad un tempo, è questo
tuo parlare senza veli di una fina che non è fine,
di un tempo che s'inoltra nell'eterno, di un Volto, che
tutti ci auguriamo volto di tenerezza e misericordia.
*
* *
Questo
mistero del tempo, Signore, avvolto da nebbie che sembrano
tutto nascondere, ingrigire, vanificare.
E questo pericolo di gridare l'assenza di significati, il
vuoto di vita.
Ma basta un raggio di luce, basta questo pallido sole, Signore:
Ed ecco affiorare da pianure di nebbia, quasi isola inattesa.
la dolcezza di un casolare: un rigo di fumo fuoriesce dall'alto
comignolo.
La casa è abitata, nonostante tutto, Signore.
E tu hai messo la tenda in mezzo a noi.
don
Angelo
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