DAI
SOTTERRANEI DI UNA STAZIONE
Non
avevo mai visto, prima d'allora i sotterranei della Stazione
Centrale. La prima volta fu il 30 gennaio.
Quella sera, quando, percorso un tratto del tunnel di via
Tonale, per una porticina che non avevo mai notato, sbucai
nella penombra dei sotterranei, ebbi come la sensazione
di varcare una soglia, di scendere nelle catacombe di una
città.
Nelle catacombe -tu lo sai- vai a onorare una memoria. E
anche le ombre sono sacre.
Prima di me per quell'angusta porta erano entrati quella
sera, quasi trattenendo sul passaggio il fiato, decine e
decine di giovani, ragazzi e ragazze.
Sul marciapiede tutti rallentavamo, come se ci fosse più
in là una strozzatura, un passaggio da attraversare,
precluso a potenti e giganti, aperto a coloro che "hanno
fame e sete di giustizia".
Uno ad uno attraverso la porta ristretta. E poi tutti nella
penombra sacra.
Qua e là la luce pioveva dall'alto. Dalle travi di
cemento annerite sui volti. Una luce fioca lasciava intatto
il mistero delle ombre e paradossalmente dilatava, accendendoli
di complicità, gli occhi, quasi ci riconoscessimo
tutti per la fedeltà a una memoria, quasi avessimo
tutti ottemperato a un unico richiamo, quello della scritta
che campeggiava in un mare di luce calda sulla parete di
fronte: "Coloro che non hanno memoria del passato"
-diceva la scritta- "sono condannati a ripeterlo".
E due date: 30 gennaio 1944 - 30 gennaio 1997.
A
convocarci con il consueto tam tam del passa-parola tra
amici era stata, ancora una volta, la comunità di
S.Egidio, non nuova a intuizioni profetiche lungo i sentieri
della storia.
Uno dei ragazzi della comunità sotto la scritta calda
di luce parlava. Era un parlare pacato, ma fermo.
"Siamo giunti oggi qui" -diceva- " provenienti
da luoghi differenti per fare memoria degli ebrei di Milano
che tra il dicembre del '43 e il dicembre del '44 furono
deportati da questi sotterranei con convogli ferroviari
per essere condotti verso i campi di sterminio nazisti.
Abbiamo attraversato le strade della città ripercorrendo
idealmente quel drammatico tragitto che nella notte del
30 gennaio del 1944, caricati sui camion, compirono decine
di ebrei dal carcere di S.Vittore alla Stazione Centrale.
Una deportazione silenziosa, nel buio, su camion coperti
da teloni, su vagoni piombati. Tutto doveva avvenire come
se non accadesse nulla, nascosto agli sguardi, sottratto
alla memoria.
Ci ritroviamo in questo luogo così denso di significato
per fare uscire dai sotterranei le vicende di quel giorno,
per illuminarlo con la luce della memoria...".
Prendendo
luce, gli uni dagli altri, ognuno ha acceso una piccola
candela. Ora negli occhi di tutti arde come brace la memoria.
Le parole dei sopravvissuti hanno, questa sera, come fondale,
i canti appassionati dei salmi di Davide, hanno come accompagnamento
i rumori dei convogli in transito.
Il sibilo impazzito dei treni sembra evocare fino allo struggimento
il sibilo lontano di partenze senza ritorno. Il rombo nei
sotterranei sembra prolungare nei cuori, fino a sfondarli,
il rumore di lontani convogli, dove, ammassati come bestie
da macello, erano uomini e donne, anziani e bambini.
"Sul convoglio partito da Milano il 6 dicembre"
-dice una voce- "furono deportati i seguenti bambini:
Masaltov Arditti di 11 anni, Giovanna Costantini di 8 anni
ed il suo fratellino Giulio di 6, i loro cuginetti Giulia
e Mario di 2 e 5 anni...". E nomi e nomi di bambini.
Guardo le candele che portiamo nelle mani. È come
se ad ogni nome di bambino -come se al tuo nome, Rosa Osma,
bambina di pochi mesi- ardesse uno di questi piccoli ceri.
Dice la voce e si incrina: "Furono tutti selezionati
con le loro mamme per la camera a gas".
Usciti in una nuvola. Annullati in un cielo grigio, vanificati:
così pensavano. Ma qui, nell'ombra sacra, il vostro
volto è icona a cui accendere il cero della memoria.
E la voce continua: "Sul convoglio partito da Milano
il 30 gennaio furono deportati i seguenti bambini..."
Avremo ceri sufficienti, Signore?: mi chiedo. Avremo ceri
sufficienti per ogni volto di bambino?
Vorrei
uscire dalle file e dare a te, Liliana Segre, qui con noi
questa sera, uno di questi ceri. Tu, una del secondo convoglio,
partito come se fosse oggi, il 30 gennaio, tu allora tredicenne,
anche tu destinata all'uscita del cielo attraverso il forno
a gas, destinata ad una nuvola di fumo, e oggi qui con noi
e con Goti Bauer, a ricordare.
A ricordare i saluti strazianti nel carcere di S.Vittore,
a ricordare la lunga fila di camion in un'alba assonnata
di una città deserta verso la Stazione Centrale.
"Andammo" -dici- "nei sotterranei, il treno
non partiva dai binari passeggeri. Qui, sì, ci fu
violenza: SS con cani, scudisciate per farci salire a gran
velocità su questi vagoni, bastonate, i vecchi che
non ce la facevano, parolacce, solite cose che diventarono
poi di ordinaria amministrazione".
Tu a ricordare il lungo viaggio su carri bestiame, volti
di uomini e donne che spiavano dalle fessure, come musi
di animali destinati al macello.
Il
cuore è gonfio di emozione. Guardo con orgoglio,
con fierezza, questi ragazzi che nei giorni del "consuma
e getta" tengono ostinatamente accesa nei sotterranei
della città la memoria, quasi li prendesse la paura
che ancora per poco saranno tra noi i testimoni, quasi volessero
fissarne negli occhi i volti, nel cuore la voce.
E i sotterranei diventano simbolo eloquente. Occorre ricostruire
luoghi della memoria.
Fuori, lungo il tunnel di via Tonale il traffico è
senza sosta: sommersi dal frastuono, abbagliati dalle immagini,
maschere vuote senza memoria.
Occorre varcare la soglia e ritornare nei sotterranei, nei
sotterranei della memoria. E resistere. Resistere all'indifferenza,
alla confusione, allo stordimento.
Tra poco sarà Quaresima. Varcare lo stretto passaggio
e scendere nei sotterranei della Quaresima e accendere un
cero alla icona del Crocifisso Risorto. Tempo del sotterraneo,
per resistere all'indifferenza, alla confusione, allo stordimento.
Guardo
le candele, che ardono a centinaia in questa ombra sacra
e i pensieri del cuore corrono a un mazzo di esili candeline
greche che nella mia casa ricordano gli occhi di Luca e
di Anusc.
Il biglietto con cui Anusc le accompagnava, come dono per
il Natale, diceva: "...sono candele greche. Le abbiamo
comprate quest'estate da un vecchietto in una piccola drogheria
ombrosa che resisteva stoica all'avanzata del consumismo
turistico. In Grecia le chiese sono piene di queste piccole
candele piantate nella sabbia. Lo trovavo molto bello. Luce
e terra .... e poi la luce di una candela è viva...".
Guardo i volti accesi dei ragazzi e delle ragazze, accesi
dalla memoria. E nel cuore li vado comparando alla vecchia,
piccola, drogheria, che, resistendo stoica, vende ostinatamente
candeline della memoria.
Impresa sovrumana, teneramente patetica, destinata a fallire
-direbbe qualcuno- se non fosse per la luce che abita gli
occhi di questi ragazzi, di queste ragazze.
Mi fermo a contemplarli, un attimo ancora, prima di uscire.
Come sono belli i volti abitati dalla memoria!
don
Angelo
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