UNA
PREDICA AMATA E "CHIACCHERATA"
Lettera ad Anna
Scrivo
a te, Anna. Tu sei l'immagine dei molti che. nei giorni
scorsi, mi hanno chiesto di pubblicare su questo foglio
la predica di qualche domenica fa: quella sul Vangelo delle
Nozze di Cana in Galilea.
Mi perdonerai - non è un'offesa ai tuoi occhi neri
e intelligenti - se ti confesso che queste righe le avrei
volute dedicare a un parrocchiano, di cui non conosco il
nome. Quanti purtroppo sono ancora quelli di cui non conosco
il nome!
Proprio lui, giorni fa, ricordando la sua assenza di trent'anni
dalla chiesa, quasi a segnalare l'aria diversa che vi respira,
mi diceva " Ricorda la sua predica di due domeniche
fa? Ecco che cosa intendo quando le parlo di un'aria diversa".
Era la predica a commento del miracolo dell'acqua mutata
in vino.
Avrei voluto, Anna, dedicare a lui queste righe. A lui che,
per via della sua salute terribilmente segnata, sta vivendo
giorni molto difficili, un passaggio difficile. E non gli
manca, per grazia, il coraggio.
Ti devo anche confidare che questa predica, da te amata,
ha destato anche qualche benevola, pur se limitatissima
nel numero, "contestazione".
Rimane in alcune - e va rispettata anche la loro opinione
- la convinzione che chi ascolta non ha sempre l'intelligenza
di capire e che sia a volte fonte di fraintendimenti evocare
alcuni orizzonti suggeriti dalla Parola.
ATTENDERE
IL PASSAGGIO DELL'ANGELO
Difficile
e affascinante questo servizio della Parola in un tempo
in cui uomini e donne - più di quanto alcuni vanno
immaginando - hanno sete di parole vere.
Ti dirò che ho sempre sentito come mia - cioè
capace di interpretarmi nel profondo - quella preghiera
silenziosa che la liturgia mette sulle labbra di noi preti
prima di procedere all'ambone: "Purifica il mio cuore
e le mie labbra, Dio onnipotente, perché possa annunciare
degnamente il tuo Vangelo".
Sentirmi uomo dalle labbra impure, dal cuore impuro: E pregare
con Isaia: "Ohimè! Io sono perduto perché
un uomo dalle labbra impure io sono e in mezzo a un popolo
dalle labbra impure io abito, eppure i miei occhi hanno
visto il re, il Signore degli eserciti".
E attendere. Attendere nel breve passaggio dall'altare all'ambone
il volo del Serafino e il suo carbone ardente: possa toccare
la mia bocca e le mie labbra.
E rimanga vangelo, cioè "buona notizia"
il brano che oggi indegnamente leggerò.
RIMANGA
LA SORPRESA
Rimanga
"vangelo". E dunque rimanga la sorpresa.
Stupore e indignazione, se mai, dovrebbero esserci ogni
volta che svigorissimo il Vangelo e lo defraudassimo di
ogni sorpresa, riconducendolo alle nostre grigie e stanche
ovvietà.
Una delle cose che più mi emoziona, fino a farmi
battere il cuore, è che, dopo quarant'anni queste
pagine conservano inviolata la loro capacità di aprire
orizzonti nuovi. Di qui il timore che io vada a cucire,
con il mio commento una toppa nuova su vestiti logori e
vecchi: "vino nuovo" - dice Gesù - "
in otri nuove".
Perdona, Anna, se mi sono eccessivamente dilungato. Vengo
al punto, quello della predica di Cana.
Non è forse vero che avremmo ricondotto Dio alle
nostre ovvietà, se avessimo commentato dicendo che
Dio è presente nelle chiese? Forse meno ovvio e già
"buona notizia" sarebbe aggiungere che è
l'amore, quello concreto degli sposi, a fare il sacramento:
l'amore come luogo del rivelarsi a Dio.
Forse meno ovvio e ancor più buona notizia sarebbe
aggiungere - oggi non tutti lo sanno - che là dove
c'è un amore vero, tenero e forte, un amore che dura
- lo si sappia o no - là è passato il Signore:
il vino buono, rimasto fino alla fine del banchetto di Cana,
era il segno che di là era passato il Signore.
Dicevo nella predica la mia nostalgia di prete e di credente:
la nostalgia che tutti lo sappiano e lo riconoscano.
Quelli che lo sanno e lo riconoscono vanno nelle chiese
a celebrare Dio con la gratitudine di chi dice: "Questa
donna, questo uomo, è per me segno che tu, Dio, mi
sei passato vicino.
SENZA
RIDURRE ALL'OVVIETA'
E
dunque sognare e lavorare perché tutti lo sappiano
e tutti lo celebrino. Ma senza ridurre. Senza ridurre la
sorpresa del cuore di Dio.
Un Dio che dà la pioggia al campo dei buoni e la
nega al campo dei cattivi, è un Dio ricondotto all'ovvietà.
Che buona notizia sarebbe? Anche noi facciamo così.
Un Dio che si fa ringraziare e si dona soltanto a coloro
che lo sanno ringraziare è un Dio ricondotto all'ovvietà.
Che buona notizia sarebbe? Anche noi facciamo così.
Ma un Dio che ti dà la donna nel sonno, come ad Adamo,
e non si ferma, non si ferma a farsi ringraziare, questa
è una incontenibile buona notizia.
E' la buona notizia, è l'aria nuova del Vangelo,
che, al di là del limite delle mie povere parole
tu, Anna, hai colto nel miracolo dell'acqua mutata in vino.
"Un Dio che la donna te la porta nel sonno
":
ripeteva ieri sera Caterina e gli occhi le si accendevano
di gioia. Incontenibile sorpresa. Dall'altro lato della
tavola - la cena era finita da un pezzo - Giovanni la fissava
dolcemente. La sorpresa si specchiava nella sorpresa.
Che non ci succeda, Anna, di normalizzare il Vangelo. Avremo
fatto un pessimo servizio a Dio. Che buona notizia sarebbe?
Ti abbraccio fortemente.
don
Angelo
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