ATTENDERE
NELLA VITA QUOTIDIANA
fogli
sparsi di un parroco
Attendere
insieme nella notte. La notte in cui due amici ti hanno
chiamato, per dirti ciò che mai avresti pensato:
è morto un loro figlio, diciassette anni, investito
da un'auto impazzita nel buio.
Attendere con loro nella grande sala, nella penombra, dove
i silenzi, i gesti, le mani prendono più spazio delle
parole, dove il buio è interrogarsi senza capire.
Attendere nel buio. E poi l'emozione delle prime luci dell'alba:
filtrano timidamente dalle finestre istoriate, ma senza
ferire.
Attendere e capire che anche le parole, anche le parole
religiose, hanno un tempo, un tempo di attesa. Attendere
il tempo delle parole della fede, che danno luce - solo
un riverbero - ai volti: "È bene aspettare in
silenzio la salvezza del Signore" (Lam. 3, 28).
Attendere i passi della salvezza dentro il dolore degli
uomini e delle donne del nostro tempo. Attendere con loro
la luce leggera, non arrogante, silenziosa della risurrezione.
***
Attendere
le nascite. Accarezzando con occhi incantati il grembo,
terra tenera, rigonfio delle donne che conosci e di quelle
che non conosci.
Lasciarsi invadere dallo spettacolo di dolcezza che segna
visibilmente, incancellabilmente, occhi e viso delle donne
in attesa.
E attendere le nascite che non accadono, condividendo il
grido del grembo che rimane vuoto.
Stare sul confine dei giorni sognati come una promessa di
concepimento e poi vivere l'amarezza dei giorni in fuga,
senza accadimenti.
Sperare contro ogni speranza che un grembo possa fiorire:
e sia un figlio della tua carne o sia un figlio abbandonato
o a fiorire sia, al di là dei figli, la tua vita
sorprendentemente, irresistibilmente feconda: "La sterile
ha partorito sette volte e la ricca di figli è sfiorita"
(1 Sam. 2, 3).
Sfiorita la civiltà dei consumi, grembo vuoto. Gonfia
di vita la generazione dei sognatori, che tutti dicevano
sterile.
***
Attendere
i germogli. Cercare e ricercare segni sui rami oscuri del
mandorlo, quando ancora è inverno. Spiare invisibili
tracce di rigonfiamenti, presentimenti di vita in gestazione.
E invocare dall'alto la pazienza del contadino del vangelo.
Contro ogni indebita innaturale pretesa di chi osa forzare
i tempi, contro ogni intrusione dello spirito. Contro la
violenza delle programmazioni, che esigono, spietate, i
risultati alla sera e non conoscono il tempo nascosto dei
nove mesi. Uomini e donne della rigidità, che non
conoscono né tenerezza né misericordia.
***
Attendere
nell'ingorgo della città, prigionieri del traffico
urbano, quando i clacson urlano impazziti la loro impotenza
e la loro indignazione.
Vivere nel cuore il paradosso delle città che urlano
e non sanno ridiscutere i modelli che le hanno edificate,
città che portano segni vistosi di un primato dato
all'auto e non all'uomo, città della corsa frenetica
e non dell'indugio, della sosta.
Attendere immobili -è paradosso- sui mezzi dell'alta
velocità.
Attendere immobili e sognare piste meno affollate nei cieli.
***
Attendere
nella lunga fila, in processione, traguardando, come fosse
un miraggio, lo sportello lontano, inaccessibile.
Dentro un'umanità senza gloria, dentro le parole
vane, dentro i pettegolezzi quotidiani, dentro i discorsi
scontati.
Attendere e sentirsi parte. Non sopra, ma dentro la misura,
la povera misura che ti appartiene, dentro la povertà
e il limite che ogni giorno ci segnano corposamente. Tutti
segnati, senza esclusioni. Dentro le meschinità,
le nostre, che solo Dio conosce e perdona.
Attendere e riconciliarsi. Attendere e fasciare di un sorriso
chi si spinge con te nella lunga coda. Attendere il miracolo
che a sorriso possa rispondere sorriso e un parlarsi prima
con gli occhi e poi con la voce e infine la grazia, ultima,
che ci si possa raccontare, ma sottovoce, una pena o un
trasalimento del cuore.
***
Attendere
nella chiesa delle certezze urlate, declamate: chiesa dei
documenti senza dubbi, delle omelie senza attesa, delle
cittadelle murate e dei confini. Confini definiti una volta
per sempre.
Verità
come terra di conquista, Dio come un idolo posseduto e lo
Spirito invocato, si fa per dire, perché la verità,
per loro, è già tutta svelata.
Essere, nella chiesa delle certezze, donne e uomini inquieti
dietro un mistero che sempre ti seduce da un'altra valle.
Attendere nonostante tutto lo svelamento e custodire, giorno
dopo giorno, emozione e stupore. Stare sulla soglia, come
sul monte.
Sei
la porta
non un muro
sordo
e invalicabile, Signore.
Non il fine corsa,
ma l'introduzione.
E dimora
all'infinito migrare
una tenda:
ombre segrete,
parole dissepolte
e luce
che trema
sui volti.
***
Attendere
passi nuovi nella mia vita. Attendere una nascita, la mia,
nel grembo dei settant'anni.
Stralunato come Nicodemo: "Come può un uomo
nascere quando è vecchio? Può forse entrare
una seconda volta nel grembo di sua madre e rinascere?"
(Gv. 3,4).
Fuori dalla presunzione della maturità raggiunta,
delle crescite concluse: "Noi siamo discendenza di
Abramo. Dio è nostro padre".
Essere come argilla. In attesa del vasaio, in attesa di
mani che ci rimodellino nella carne, in attesa di mani che
ridisegnino un figlio.
Fuori dalla presunzione dei ricchi dello spirito. Solo la
povertà è attesa.
Né
mi basterà
meno di una vita
per diventare figlio.
Abito ancora il grembo
tenero e oscuro
e attendo
di venire alla luce.
***
Attendere,
nonostante tutto, il Natale. Nonostante le risse, nonostante
le corse, nonostante gli sfinimenti.
E giocare -gioco sacro- a immaginare dove sarebbe oggi la
nascita del Salvatore. Nascita che avvolge di luce i rifiutati.
Dove oggi il campo e dove i pastori, gente di dubbia fede,
di dubbia moralità, senza posto nel tempio. Dove.
Immaginare. E dirne, per grazia, i nomi nel cuore. In assenza
del coraggio, nelle chiese, di gridarli al vento.
***
Attendere
Gesù, nella grande veglia della vita. Dilatare, giorno
dopo giorno, l'attesa del suo ritorno.
Cristo atteso nella notte con fiaccole che faticano al vento.
Sognare nella Liturgia la chiesa rivolta ad Oriente, i volti
fissi là, da dove verrà il Signore.
Tenere le lampade accese, resistendo al falso miraggio di
un regno di Dio sulla terra, all'immagine di una chiesa
intronizzata, sul modello dei regni della terra.
Attendere il Veniente. Attendere, giorno e notte. Come le
finestre dell'abside, nella penombra dell'abbazia.
Attendere e sognare. Ad occhi socchiusi.
don
Angelo
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