LA
PIAZZA LASTRICATA E L'UMILE SOGLIA
Verrà
Natale. Me lo dicono le notti che si fanno lunghe, sempre
più lunghe: il Natale, festa senza data precisa ,
è stato fissato nella notte più lunga, quasi
a dire agli uomini e alle donne di ogni tempo che la notte
- anche quella più lunga - custodisce il miracolo
di una luce. Verrà Natale. Che sia alle porte me
lo dicono le notti più che le luci della città.
Di giorno infatti sembra un altro Natale, quello dei consumi.
Lo diciamo ogni anno e proviamo stanchezza nel dirlo, quasi
confessiamo la nostra impotenza a cambiare il corso delle
cose.
Verrà Natale. E la città all'apparenza sembra
senza segni. Senza segni del Natale di Gesù.
L'IMMOBILITA'
Questa
città e questo mio cuore, all'apparenza così
freddi e così estranei al mistero, potrebbero essere
raccontati sotto il segno della Gerusalemme di un tempo:
sfiorata dalla notizia, turbata per un momento, ma immobile:
nella città si continuano le cose di sempre, il viaggio
- quello quotidiano - fu senza sussulti verso le cose di
prima.
Non nacque nessun movimento verso la luce che era apparsa
nella notte, la notte più lunga del mondo. Nessun
movimento se non quello di umili pastori.
PIAZZA\LASTRICATA
E CONTRAFFORTI
Il
mio cuore, la mia città potrebbero essere raccontati
sotto il segno della piazza di Betlemme antistante la Basilica
della Natività.
Vai a cercare il luogo dove fu deposto il Signore e trovi
una grande anonima piazza lastricata. Ancora oggi al ricordo
sento il gelo impressionante di quei lastroni, il gelo dei
contrafforti dei conventi che circondano di alte muraglie
il luogo del mistero: tre conventi, tre comunità
religiose - cattolici, greci ortodossi, armeni ortodossi
- a spartirsi il luogo della mangiatoia.
E non sarà questa - anche questa - una cifra interpretativa?
Un Natale nascosto dall'imponenza e dalla spartizione! Anche
religiosa!
Non c'è più Natale là dove abbiamo
alzato mura orgogliose, là dove ci siamo appropriati
del mistero.
UN'IMPROBABILE
"SOGLIA"
Eppure
proprio all'angolo più lontano, alla fine della piazza
lastricata, oltre i contrafforti che sbarrano il mistero,
il pellegrino vive l'emozione di una - oserei dire - improbabile
soglia.
La Basilica della Natività non si segnala per grandi
e solenni portali: l'accesso è attraverso una piccola,
angusta porta: la oltrepassi chinandoti, restringendoti,
rimpicciolendoti. Quasi una condizione per affacciarti alla
penombra che abita oltre la soglia.
Non so se è per pura causalità, ma anche all'altra
grotta - quella del sepolcro del Signore - accedi attraverso
un umile, angusto passaggio. Accedi chinandoti, restringendoti,
rimpicciolendo.
Mi è caro pensare che l'esercizio del corpo - chinarsi,
restringersi, rimpicciolirsi - evochi un esercizio dello
spirito - il "farsi piccoli " del Vangelo - passaggio
ineludibile se vuoi avere accesso al mistero del Natale.
Comunque al mistero.
A chi ha gli occhi malati di grandezza, davanti a una bambino
in fasce in una mangiatoia, verrà spontaneo reagire
con un "è tutto qui?". Così come
davanti al luogo del sepolcro a qualcuno venne spontaneo
concludere: "Non è sceso dalla croce, non ha
salvato se stesso!".
IL
CUORE E GLI OCCHI
Solo
gli occhi di chi si incanta davanti alle piccole cose, gli
occhi degli umili, sanno far parlare le fasce, quelle della
mangiatoia; sanno far parlare le bende, quelle per terra,
nel sepolcro.
Alla vigilia di questo Natale mi ritrovo a pregare perché
mi sia dato cuore e occhi di pastori.
Nell'opinione comune non erano granché, la loro vita
non era certo uno specchio di ortodossia. Ebbene i pastori
lo riconobbero.
Forse perché la loro era una razza strana: razza
di chi sgrana gli occhi e vede grandi anche le cose piccole:
grande il piccolo ciuffo d'erba che resiste miracolosamente
nel deserto, grande la piccola misura di rugiada che nella
notte si è raccolta insperatamente nella tela, stesa
a forma di imbuto, accanto alla tenda.
NUMERI,
TENEREZZA, STUPORE
Noi
abbiamo l'aria di chi dice "tutto qui?". A incantarci
è l'imponenza dei numeri. I pastori beduini al contrario
non sanno contare, le pecore le conoscono per nome.
Per chi come noi ha fatto della vita un contare, un bambino
in fasce che altro non è se non un numero, un piccolo
numero? Non così per chi dà un nome alle cose.
Forse per questo è difficile oggi stare sulla soglia
del vero Natale. Anche per la chiesa; pure lei tentata di
privilegiare i numeri e l'imponenza delle manifestazione
e non, invece, la tenerezza di chi conosce per nome.
E se decisiva non fosse l'"ortodossia", ma lo
stupore, la tenerezza, la passione?
"L'annuncio della nascita di Cristo" - scrive
Pia Compagnoni - "è stato dato ai pastori che
allora erano disprezzati dai farisei, perché non
si curavano delle leggi sulle abluzioni e sulla scelta dei
cibi. Erano quindi esclusi dai tribunali e la loro testimonianza
non veniva accettata".
I pastori, cioè gli emarginati di allora, sono stati
i primi adoratori dell'Uomo Dio. La tradizione narra che
tutti sono saliti a Betlemme portando umili doni.
Uno solo è giunto a mani vuote. Maria lo fece venire
ancora più vicino e disse: "Anche lui ha portato
un dono: il suo stupore!".
Nel presepio francese questo pastore si chiama "ravi",
in quello siciliano "il meravigliato". Forse Maria
ha raccontato questo episodio a Gesù, perché
rieccheggia in una pagina del Vangelo copto di Tommaso:
"Di chi è il regno dei cieli? E' di chi è
capace di stupore!".
"Colui che cerca non desista dal cercare fino a quando
avrà trovato. Quando avrà trovato sarà
turbato e, se sarà turbato, si stupirà e sarà
re su tutto" (agraphon n. 2 del Vangelo copto di Tommaso).
IL
GIORNO DOPO
Ed
ora non mi rimane che pensare ai pastori il giorno dopo.
Perché se per il Natale non c'è un giorno
dopo, è un inutile, sprecato Natale. E dunque il
giorno dopo dei pastori.
Dei pastori è detto che "ritornarono":
"glorificando e ringraziando Dio per tutto quello che
avevano udito e visto, come era stato loro detto" (Lc.
2,20).
Scompaiono i pastori del Vangelo, scompaiono dietro i loro
greggi. Scompaiono come scompaiono i Magi del Vangelo, dietro
le piste che puntano verso l'Oriente.
Forse scompaiono per non accendere irrequietezze religiose,
nel nostro immaginario sempre alla ricerca di fenomeni eccezionali.
Scompaiono i pastori, scompaiono dietro i loro greggi: la
gloria che li aveva avvolti di luce nella notte si era dileguata.
Ma la luce, quella luce, era rimasta impigliata - come non
immaginarlo? - nei loro occhi.
OGNI
CARNE VEDRA' LA SALVEZZA
I
greggi sono ancora quelli e non sono più quelli,
e i pascoli sono quelli e non sono più quelli, e
il deserto è ancora quello e non è più
quello.
Nel loro immaginario si era dissolta, come neve al sole,
una volta per sempre, la vecchia categoria della "separatezza":
Dio dopo quella notte non era più tra le cose sante,
separato dalla normalità.
Non più distanze tra Dio e la mangiatoia, tra Dio
e le ruvide fasce, tra Dio e le notti all'addiaccio. Tutte
le cose - anche le più umili - erano state abbracciate
quella notte. Era come se ogni cosa raccontasse d'essere
stata amata da Dio.
Natale è ritornare alle cose di sempre e scoprire
che in ogni cosa, da quella notte in poi, è rimasto
impigliato l'amore di Dio.
Non è così scontato rientrare portando questa
luce negli occhi.
Non è così scontato se i Vescovi della Lombardia,
nel loro ultimo documento, scrivono: "Il problema non
è di ritagliare un po' di tempo, sia pure con fatica,
per vivere le "cose della fede". Occorre invece
illuminare con la fede "le cose della vita": la
professione, la famiglia, le occupazioni, la sofferenza,
insomma il vivere. ecc
".
Non è così scontato se penso all'emozione
e agli occhi finalmente in pace di un nonno, al quale in
questi giorni andavo sommessamente dicendo che il suo nipotino,
anche se non battezzato, non era per questo meno amato da
Dio. Era come respirasse una buona novella, quella del Natale.
"Ogni carne"- è scritto - "vedrà
la salvezza di Dio" (Is. 40, 5).
don
Angelo
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