PENSIERI
SPARSI SUL NATALE
Pensieri
senza pretesa. Come quelle impressioni che a volte appunti
fugacemente su un foglio, uno dei tanti fogli volanti, destinati
a chissà chi o chissà cosa, spesso sommersi
da altre carte più importanti (?), nel disordine
della mia scrivania.
Pensieri che attendono di essere perdonati, come ogni riflessione
che non venga dalla quiete del silenzio, ma da improbabili
spiragli di sosta, il tempo di prendere una biro e poi interrompere
ancor prima di finire un pensiero.
DESIDERIO
DI SENSO
Mi sembrerebbe fin troppo facile e scontato accodarmi all'analisi
amara di chi va dicendo che nel nostro tempo è morto
il vero natale e che per Cristo oggi come allora, non c'è
assolutamente posto.
C'è posto per tutto o quasi tutto, non c'è
posto per Cristo.
Correndo e stringendo i denti si arriva dappertutto; ma
non si arriva nel profondo del cuore: e dove altro potrebbe
nascere il Signore?
O se si arriva a Cristo, spesso si arriva a un bambino di
cartapesta, che non impegna più di tanto.
Si ripete dunque la notte del "non c'è posto!".
E Giuseppe e Maria a ritentare, bussando più avanti.
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* *
C'è
del vero, ma non è tutto, in questa fotografia della
mia generazione, che la vuole indifferente e secolarizzata.
Ricordo che, una di queste sere - era passata mezzanotte
-, alla fine di una trasmissione televisiva su "Milano:
le strade della fede", all'intervistatore che gli chiedeva
se concordasse sulla fotografia di una città in gran
parte non praticante, l'Arcivescovo, come spesso usa fare,
cambiò totalmente prospettiva, come uno che segnala
orizzonti spesso inesplorati o forse solo disattesi. E disse
- cito a memoria -: "La gente vive un grande desiderio
di senso. Tocca alla chiesa dare voce a questo grande desiderio,
la chiesa che custodisce una Parola, che è la risposta
a questi interrogativi dell'uomo".
*
* *
Forse
alcuni di noi ricordano con nostalgia le sere d'avvento
in cui dalla penombra delle chiese saliva accorata l'implorazione
del "Rorate": "O cieli, stillate dall'alto
rugiada. Le nubi piovano dall'alto il Giusto!".
Oggi forse il "Rorate" tace nelle chiese o è
solo canto sommesso. Ma l'implorazione -per coloro che sanno
ascoltare- sta salendo dal cuore di questa generazione in
attesa di un Parola, il Verbo, che apra finalmente il libro
chiuso da sette sigilli, il libro dei significati, il libro
della vita.
COMUNICARE
La storia affascinante di Adamo che ha tutto - alberi, animali,
stelle, cieli limpidi e terre feconde -, ma si sente terribilmente
solo (puoi avere tutto e essere solo come un cane) mi ritorna
alla mente più volte in questi giorni di Avvento.
Mi ritorna alla mente il grido di giubilo di Adamo all'apparire
della donn, quella sua poesia, la prima dell'umanità,
una poesia d'amore.
Dunque ciò che conta non è avere, ma "comunicare":
hai bisogno di due occhi simili ai tuoi, di due mani che
si stringono alle tue; ma hai bisogno anche di una creatura
con cui spartire i tuoi pensieri e le tue emozioni, i tuoi
sentimenti, i tuoi sogni, la tua ricerca, le tue scelte.
Senza comunicazione profonda ci riduciamo a cose. E le cose
non riempiono il cuore.
*
* *
Forse
stupirà la stranezza di questo prete che, all'avvicinarsi
del Natale, pensa alla lontana storia di Adamo.
Eppure il Natale potrebbe essere letto anche come l'apparire
nel cielo del segno di un mirabile e intimo comunicare tra
Dio e l'uomo.
Mi perdonerà Dio per quanto sto per scrivere (la
"Congregazione per la dottrina della fede" avrebbe,
penso, da ridire su queste mie affermazioni): oso dire che,
dopo tutto, ciò che conta non è tanto che
Lui, Dio, esista. Ciò che mi fa colmo di stupore,
pieno di giubilo come Adamo, è che Lui abbia voluto,
e voglia ogni giorno, comunicare con noi.
Colmo di stupore mi fa questo comunicare non dall'alto,
ma da una stessa terra, dentro la condizione dell'uomo.
In caso diverso la comunicazione non è più
tra persone, ma tra fantasmi.
E allora il mistero del Natale non potrebbe essere letto
anche come un invito a ridare splendore e tenerezza al comunicare?
Qui e non altrove è la nostra salvezza.
CARICARSI
E insieme alla storia di Abramo mi accompagna, in questa
vigilia di Natale, la storia -è una parabola- di
un uomo senza nome.
Gesù che l'ha raccontata non gli ha dato nome, forse
perché il vero nome è il suo o forse anche
perché potrebbe essere il nome di ciascuno di noi.
Noi l'abbiamo chiamato "il buon samaritano": la
parabola è conosciuta, ma non è storia lontana,
né tanto meno conclusa. Puntualmente si ripropone
nel tempo.
Storia di una umanità che "discende", cioè
spogliata dalla sua dignità, percossa e ferita.
Ma storia anche di uno che passa, prova tenerezza e si ferma;
scende da cavallo e versa olio sulle ferite e fascia e cura,
pagando di persona.
* * *
Storia
dunque del discendere di Dio e del suo "caricarsi"
della nostra situazione: la vera storia del Natale.
Passando in una delle case della parrocchia per la benedizione
natalizia, una signora mi disse: "Prima di sera, chissà
quante storie di dolore le avremo riversato nel cuore. Come
fa a resistere a portarle tutte?".
Se la tenerezza di quella donna da un lato mi commosse per
la dolcezza dell'intuizione, dall'altro segnalava una esigenza
diffusa: che nessuno venga lasciato solo a portare il carico.
Ripresi a passare di casa in casa; ma nel cuore mi si era
dilatato un timore: che il mio fosse solo un venire e andare,
un "passare oltre" come quello del sacerdote e
del levita, non un "versare olio".
"Portate i pesi gli uni degli altri: così adempirete
la legge di Cristo" (Gal. 6,2). Perché il Natale
non muoia.
don
Angelo
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