PASQUA
MAGGIORE, PASQUA MINORE
C'è
una Pasqua maggiore. E c'è un a Pasqua minore.
La Pasqua Maggiore è raccontata nelle chiese. E volesse
il cielo che rimanesse raccontata. E non declamazione.
Il racconto conosce gli incespicamenti dell'emozione, la
sospensione delle parole che sono sempre povere a dire ciò
che è accaduto: ciò che è accaduto
nel giardino dell'Eden, sul monte Moria quando un angelo
fermò la mano di Abramo sul punto di sacrificare
il figlio, nelle acque stupite del Mar Rosso, nella tomba
oscura del Crocifisso.
Un raccontare sommesso: così dovrebbe essere. Dove
il "sommesso" -anche nelle grandi celebrazioni-
è discriminante. Vi immaginate uno che "racconta"
urlando, proclamando?
Anche per la Pasqua maggiore deve rimanere -pena l'espulsione,
l'espulsione dal cuore- il raccontare sommesso della tavola
di casa, i suoi silenzi e le sue sospensioni, il fascino
discreto del racconto della Pasqua ebraica, celebrata nelle
case.
Forse è troppo sognare che anche per la Pasqua maggiore
- quella celebrata nelle chiese- rimangano la sorpresa e
lo stupore degli occhi perduti dietro il raccontare? Come
per i bambini, i loro occhi abitati dal racconto.
LA
DOLCEZZA DEL GREMBO
C'è
una Pasqua minore. Meno solenne, ma non per questo meno
vera.
Vive degli incantamenti e delle emozioni, delle lacerazioni
e delle attese, che hanno segnato i giorni che l'hanno preceduta.
Perché Pasqua non è fuori della storia. E'
dentro le nostre storie più quotidiane.
Ognuno dunque potrebbe raccontare come è arrivato
quest'anno a Pasqua.
Oggi, ripensando alla mia Pasqua minore, posso riconoscere
che il suo inizio sorprendente fu in una telefonata, una
telefonata dall'Olanda.
La voce era vicinissima, come di chi ti parla dalla porta
accanto. Una ragazza dall'altra parte del filo mi raccontava
felice che aspettava un bambino; e la gioia di dirmelo subito,
quasi l'addolorasse il pensiero che venissi a saperlo da
altri. La telefonata tenerissima di Barbara, l'attesa di
un bambino.
Fu come l'aprirsi degli occhi: per una sorta di coincidenze
inattese ho vissuto una quaresima quest'anno incrociando
volti di donne amiche in attesa di un bambino.
Ho visto i loro occhi abitati sempre più dallo stupore
e il loro corpo gomfiarsi dolcemente. Mi sono incantato
davanti a quel raccontare segreto. La dolcezza di un grembo
come zolla di terra, in trepida attesa, una attesa di germogliare.
Qualcuno potrebbe pensare che le immagini di un grembo in
attesa convengono più all'Avvento che alla Quaresima
e dicano, più che la Pasqua, il Natale. Perché
allora mi hanno fedelmente accompagnato? Perché tuttora
mi stanno accompagnando? Forse per la speranza di cui sono
segno, quasi una tenera sfida.
RASSEGNAZIONE
O AFFEZIONE?
In
tempi di rassegnazione e stanchezze, quando sempre più
invadente è un clima di pessimismi e disfattismi
diffusi, in tempi di inerzia e disamore, quando l'invito
che cogli nell'aria è a "lasciar perdere"
e a "tirare i remi in barca", mettere al mondo
un figlio è come dare un segnale di segno opposto.
E' come dire che tutto non è ancora perduto e che
il futuro può avere un volto diverso. E' un gesto
di affezione -per questa e per l'altra terra- i giorni di
disaffezione.
Questo mi hanno raccontato quest'anno donne a me care con
il loro corpo rigonfio nell'avvicinarsi della Pasqua. Mi
hanno parlato di speranza non con parole vaghe, ma con un
germoglio tenero e concreto.
Quei corpi dolcemente rigonfi erano un invito a scrivere
nei nostri giorni piccoli gesti che nutrissero la speranza.
Puoi dire speranza anche generando un figlio, piantando
un albero, comprando un campo.
COMPRARE
CAMPI
Qualcuno
forse ricorderà come in un tempo di spada, di fame
e di peste, in un tempo di desolazione e di assedio il profeta
Geremia (Ger. 32) si sentì rivolgere da Dio una parola
che lo invitava paradossalmente a comprare campi e case.
Proprio quando le macchine d'assedio avevano raggiunto la
città per occuparla.
Era come uno sfidare, forti della promessa di Dio, il futuro.
La Pasqua di Gesù, come la Pasqua degli Ebrei, può
essere vissuta come il luogo della ricostruzione della speranza,
luogo della promessa, che non viene meno, anche quando sotto
gli occhi è il fallimento, e tutto sembra gridare
solitudine e desolazione.
I grembi dolcemente ricurvi e, ancor più, la Pasqua
del Signore, segno della Promessa di Dio. Non attardiamoci
nei lamenti, gettiamo semi, piantiamo alberi, costruiamo
case.
DALLA
CELLA 92
Ricordo
l'emozione patita leggendo una lettera scritta da Dietrich
Bonhoeffer dal carcere militare di Tegel-Berlino, il 12
agosto 1943. Il 9 aprile 1945, su ordine di Hitler, sarebbe
stato giustiziato. La lettera è un dirizzata a Maria
von Wedemeyer, una ragazza diciannovenne che Dietrich, teologo
e pastore della chiesa confessante tedesca, aveva da poco
fidanzata:
"Non puoi assolutamente comprendere che cosa significhi
nella mia attuale situazione l'avere te. Sono certo di essere
sotto la speciale guida divina. Il modo in cui noi ci siamo
trovati, e il momento, così prossimo al mio arresto,
ne sono per me chiare prove; ancora una volta un caso di
"Hominum confusione et dei providentia". Ogni
giorno mi sorprende quanto sia immeritata la felicità
che ho avuto e ogni giorno mi commuove profondamente pensare
alle dure prove che Dio ti ha imposto nell'anno passato,
e come evidentemente sia la sua volontà che io, dopo
averti appena conosciuta, debba procurarti dispiaceri e
dolore, affinché il nostro amore reciproco abbia
il suo giusto fondamento e la sua giusta resistenza. Se
poi penso alla situazione del mondo, alla totale oscurità
che avvolge il nostro destino personale e alla mia attuale
prigionia, credo che la nostra unione -se non è stata
una leggerezza e sicuramente non lo è stata- può
essere soltanto un segno della grazia e della bontà
di Dio, che ci chiama alla fede Saremmo ciechi se non lo
vedessimo. Geremia, nel grave bisogno del suo popolo, dice
che "in questo paese si devono ancora comprare case
e campi", come segno della fiducia del futuro. Per
far questo ci vuole fede; che Dio ce la doni ogni giorno.
Non intendo la fede che fugge dal mondo, ma quella che resiste
nel mondo e ama e resta fedele alla terra malgrado tutte
le tribolazioni che essa ci procura. Il nostro matrimonio
deve essere un sì alla terra di Dio, deve rafforzare
in noi il coraggio di operare e di creare qualcosa sulla
terra. Temo che i cristiani che osano stare sulla terra
con un piede solo, saranno con piede solo anche in cielo..."
I GESTI CHE HANNO UN FUTURO
I
tempi non sono mai comparabili. Gli avvenimenti che oggi
ci toccano, a confronto di quelli evocati nella lettera,
sono di gran lunga meno tragici e meno inquietanti.
Eppure anche i nostri -per motivi paradossalmente diversi-
sono giorno che portano con sè un seduzione: la seduzione
del "piccolo orto" e possono ingenerare nei cuori
disaffezione per la città, la città di tutti,
per il paese, il paese di tutti, per la terra, la terra
di tutti. Di oggi e di domani.
Che sia un bambino, che sia una pianta, che sia una strada...
fa qualcosa che apra un futuro. Pianta un albero.
La legge prescriveva che Israele una volta entrato nella
terra piantasse alberi: "quando sarete entrati nella
terra, voi pianterete ogni sorta di alberi da frutto...
"(Lv.19,23).
Il midrash a questo testo dice: "Sta scritto: "Voi
seguirete il Signore Dio"(Dt.13,5).
Ma come può un essere di carne e di sangue seguire
Dio? Semplicemente: all'inizio della creazione del mondo,
Dio era occupato a piantare alberi. Allora anche voi, quando
entrerete nella terra di Israele, occupatevi soltanto di
piantare alberi" (Lv.Rabbah XXV, 3).
Chiedo perdono se, riducendo l'orizzonte del midrash, oso
ristrascriverlo leggendovi un invito a fare ogni giorno
cose che abbiano in futuro. Ogni giorno, giunti a sera,
chiedersi se ciò che abbiamo fatto ha un futuro.
Non hanno, certo, un futuro le nostre grettezze, le nostre
ambizioni, le nostre durezze, le nostre menzogne, le nostre
ipocrisie, le nostre avidità, le nostre superficialità,
i nostri arbìtri.
Ha un futuro ciò che conforta la speranza, ciò
che fa trasalire il cuore, ciò che avvicina a Dio,
alla verità, alla giustizia, ciò che ci rende
interiormente liberi e trasparenti, ciò che apre
gli occhi e il cuore, ciò che dilata la visione
don
Angelo
|