PASQUA
COME SOGLIA DA LOGORARE
Tra
poco staremo sulla soglia: il cammino quaresimale porta
a una soglia. Soglia che non avremo mai finito di logorare
con l'inesausto andirivieni del nostro desiderio.
E più ti inoltri negli anni, più ti prende
il desiderio di stare ancora una volta sulla soglia - la
soglia della croce e della tomba vuota - assorto a contemplare.
qualcuno potrebbe avanzare riserve su questa immagine della
"soglia" riferita alla Pasqua del Signore: più
consona gli parrebbe l'altra, quella della "porta trionfante".
Se personalmente preferisco la prima, è perché
mi ricorda da vicino, ma senza avvilirmi, la mia povertà
e il mio limite.
INTRAVEDERE
Mi
succede a volte di pensare che vera "porta" forse
è solo quella del Regno, là dove ci sarà
dato contemplare in pienezza, faccia a faccia. Ora vediamo
solo come in uno specchio, come da una soglia. E dalla soglia
non hai mai finito di intravvedere, di immaginare.
Per questo forse siamo chiamati a salire ogni anno verso
la Pasqua: perché non abbiamo mai finito di intravvedere
e di immaginare. Quanto rimane sempre da comprendere, da
esplorare!
Come non meravigliarci dunque davanti a quei cristiani che
hanno l'aria di aver già tutto percorso e esplorato?
hanno capito tutto, hanno definito tutto. Non mi riesce
di capire perché si mettano in cammino ogni anno
verso la Pasqua: forse solo fanno finta di salire verso
Gerusalemme; in realtà pensano di dimorarvi stabilmente
da tempo.
Condizione ineludibile per far veramente Pasqua è
appartenere alla razza di coloro che non hanno mai finito
di logorare la soglia. L'incendio è tanto grande
che a loro sembra di cogliere ogni anno poco più
di una scintilla.
NON
NOMINARE INVANO
Non
nominare più invano il nome di Dio potrebbe essere
un comandamento da riproporre: e non tanto nella versione
fin troppo riduttiva del non bestemmiarlo, bensì
nell'imperativo biblico di guardarsi - guardarsi attentamente
- dall'uso sacrilego del nome, della pretesa cioè
di mettere il nome di Dio e di Cristo là dove Dio
e il suo Cristo in nessun modo possono abitare.
Le maschere religiose ed ecclesiali sono le più difficili
e le più dure da sorprendere e smascherare.
Le parole del tentatore - ce lo ha ricordato la prima domenica
di quaresima - sono per lo più parole religiose,
piene del nome di Dio.
Si mette così il nome di Cristo su strategie che
non hanno nulla - proprio nulla - da spartire con la strada
di Cristo. Va dunque sulla soglia ad osservare!
Le parole del tentatore ci accompagnano fino alla fine dei
tempi.
"Dì che queste pietre diventino pane":
una chiesa abbagliata dal miraggio dell'efficienza, appiattita
sui moduli di uno spento pragmatismo.
"Gettati giù dal pinnacolo del tempio":
una chiesa sedotta dal desiderio di fare notizia; bisogna
colpire - si dice - bisogna incantare, bisogna imporsi.
"Tutte queste cose avrai
": una chiesa sedotta
dal miraggio del potere: se arriviamo al potere noi - si
dice - cambieremo il mondo! Quante maschere di religiosità,
inseguite con il pretesto dell'"a fin di bene"!
AL
DI LÀ DELLE NOSTRE IMMAGINI
Sulla soglia dunque come quelli per i quali Dio ogni volta
è da scoprire, perché è e sarà
sempre al di là delle nostre immaginazioni: in modo
particolare il Dio dell'Antico e Nuovo Testamento è
al di là di quello che di Dio comunemente si pensa.
Un Dio, se c'è un Dio - pensa la donna samaritana
- sarà un Dio infaticabile. E invece no: è
un Dio stanco, seduto stanco al pozzo di Sicar. "Quaerens
me, sedisti lassus": si cantava un tempo nel "Dies
irae": "cercandomi, ti sei seduto stanco".
Porti su di te, Signore, la stanchezza del tuo lungo cercarmi.
Un Dio, se c'è un Dio - pensa la donna samaritana
- non avrà sete, sarà lui a darmi da bere.
E invece no: è un Dio che ti chiede da bere.
Un Dio, se c'è un Dio - pensa la donna samaritana
- potrà tutto, avrà un mezzo per attingere
acqua. E invece no: non ha nessun mezzo per attingere e
il pozzo è profondo, profondo anche per Dio.
Quale sconcerto, ma anche quale commozione: che Dio porti
i segni della stanchezza, lui stanco per il suo lungo cercarci!
E dunque "non nominare", perché il rischio
è che noi lo si nomini alla maniera degli uomini.
Anche per la chiesa il rischio è che lo si nomini
alla maniera degli uomini: "Vattene, Satana, tu non
pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini!".
Come a dire che Cristo non lo puoi nominare prima: lo potrai
nominare solo sulla soglia della Pasqua: sotto la croce
e accanto alla tomba vuota.
NELLA
SETE E NEL GRIDO
Potrai dire Cristo solo quando sotto la croce ti sentirai
trapassare da quel suo grido: "Ho sete" - un Dio
che ha sete! - o dall'altro suo grido: "Dio mio, Dio
mio, perché mi hai abbandonato?",
"quando
non una eco
risponde
al suo alto grido".
Allora,
stupendoti, intuirai che non c'è più distanza
o separatezza: il Figlio unigenito ha preso posto nella
nostra sete, come un maledetto che pende dalla croce, tra
coloro che portano il peso inenarrabile del silenzio di
Dio, tra i crocifissi della storia.
Allora, ma solo allora, e sempre con tremore, lo chiamerai
Cristo, Figlio di Dio. Prima no.
Questa è la Pasqua: andare sotto la croce a dare
il nome Dio, come il centurione.
Mentre i capi, ragionando alla maniera degli uomini, urlano:
"Se è il Figlio di Dio, discenda dalla croce
e gli crederemo", il centurione, sulla soglia del mistero,
vedendolo morire in quel modo, mormora: "Veramente
costui è il Figlio di Dio".
Figlio di Dio, perché non sceso, perché rimasto
là, a condividere fino in fondo la sorte degli uomini
più perduti della storia.
NELLA
BRACCIA ALLARGATE
Va
sotto la croce, a dare un nome a Dio. E non nominarlo mai
in presenza di logiche che sono lontane, agli antipodi di
quell'incondizionato amore che sta scritto, senza possibilità
di fraintendimenti, nelle sue braccia allargate.
Sali ogni anno, perché anche tu non hai mai finito
di attingere al pozzo.
Sta sulla soglia nella notte di Pasqua: ti affiorerà
dal cuore un nome per il tuo Dio e nello stesso tempo ti
sorprenderai incapace di definirlo; e da un nome correrai
ad un altro e da quello ad un altro ancora, secondo il gioco
inesausto dell'amore, per il quale alla creatura che ami
dai un nome, ma poi non ti basta e ricorri a un altro e
poi a un altro ancora. Quasi a dire che nessun nome può
esaurire la creatura che ami, nessuna definizione la può
trattenere.
E dunque soglia da logorare con il nostro desiderio, ogni
anno, la Pasqua del Signore. E tanto ci basta.
don
Angelo
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