LA
CLASSE AMBROSIANA VA' IN PARADISO?
Ora
tutto tace. E forse è il momento opportuno per condividere
interrogativi e riflessioni suscitati dai discorsi del Papa
ai vescovi delle varie regioni d'Italia.
Come spesso accade quando la polemica rimbalza sui giornali,
abbiamo assistito da un lato a dilatazioni fuori misura,
eccessive, e dall'altro a semplificazioni ingenue e perfino
sorprendenti.
Si è voluto immaginare un Papa esaminatore, che distribuisce
voti di merito ora all'una ora all'altra regione d'Italia,
bocciando, che so io, l'Emilia o la Toscana, quasi fossero
l'anticamera dell'inferno, e promuovendo, tra le altre -
le poche - la Lombardia, quasi presunta classe che va in
paradiso.
Carlo Castellaneta così apriva un suo fondo sulla
Cronaca di Milano del "Corriere" di lunedì,
18 marzo:
"Le polemiche suscitate dagli anatemi del Pontefice
contro l'Emilia e poi contro la Toscana, hanno risparmiato
la nostra diocesi. Milano è uscita assolta dal processo
di verifica dei valori religiosi a cui il Papa Wojtyla sembra
voler sottoporre, una dopo l'altra, le regioni italiane.
Ma c'è da chiedersi se questa assoluzione si debba
davvero a una migliore qualità cristiana della vita,
o non sia piuttosto dovuta al quadro rassicurante presentato
al Santo Padre dal nostro lombardo arcivescovo".
PANORAMI COMUNI
A
nessuno, penso, sfugga il taglio polemico delle parole.
Ma anche la polemica può indurre a pensare chi, come
nel mio caso, non ha grossi strumenti interpretativi, però
vive l'interrogazione quotidiana, camminando con la gente.
Chi legge nella loro completezza e non a brandelli questi
interventi del Papa non può non notare che motivi
di preoccupazione e di speranza vengono segnalati in ogni
situazione: nessuna regione anticamera dell'inferno come
nessuna regione anticamera del cielo.
Anche perché - e qualche notista l'ha acutamente
osservato - il panorama religioso oggi si è fatto
per lo più ampiamente omogeneo né segnala
divaricazioni sorprendenti tra regione e regione. Anzi proprio
il Papa in un passaggio del suo discorso ai vescovi lombardi
fa notare che i fenomeni da loro segnalati travalicano l'orizzonte
della regione e investono panorami europei.
SENSIBILITA' DIVERSE
Panorami
comuni, ma sottolineature diverse.
Non mi fa problema ammettere che il Papa per questi interventi
abbia attinto alle analisi tracciate dagli episcopati delle
singole regioni.
Così come non mi fa problema ammettere che, al di
là della comunione sulle cose essenziali, ci siano
anche visioni e sensibilità pastorali diverse.
In effetti leggendo il discorso del Papa ai vescovi lombardi
non è difficile rinvenire, quasi in filigrana, tracce
dei percorsi pastorali cui ci ha educati il nostro Arcivescovo,
sia per l'approccio ai problemi , sia per la loro lettura
evangelica, sia per l'indicazione di itinerari futuri.
Non sarebbe corretto invece, anzi fuorviante, parlare di
una classe lombarda che va in paradiso.
Il quadro della situazione religiosa offerto dal nostro
Cardinale non è, come si vuol far credere, rassicurante:
i mali del nostro tempo non sono affatto ignorati.
DARE ENFASI ALLA DENUNCIA ?
Ma
proprio qui si rivela la diversità del pastore.
L'enfasi va posta sulla denuncia? Basta denunciare i mali
perché ai mali si ponga rimedio?
E, ancora, i mali che spesso vengono denunciati non nascondono
a volte una radice più profonda?
E' sufficiente il richiamo alle norme per rigenerare un
tessuto sociale? O non ci sarà bisogno di essere
ancor prima "affascinati" nelle coscienze? Il
pensiero mi corre alla donna samaritana: chissà quante
volte la norma le sarà stata richiamata e tutto era
rimasto come prima. Solo un incontro l'ha cambiata.
FEDE COME SCELTA PERSONALE
L'Arcivescovo
sembra riportare sempre al cuore il problema.
E il cuore del problema, indicato anche dal Papa nel suo
intervento, sta nel "passaggio da una fede di consuetudine,
pur apprezzabile, a una fede che sia scelta personale, illuminata,
convinta, testimoniante".
Siamo ormai alle domande ultime, le domande sul nascere
e sul morire. E sarebbe ingenuo pensare che alle domande
ultime si possa rispondere con la proclamazione di alcune
norme o con la riproposta di devozionalismi di corto respiro.
Andare dunque al cuore del problema e capire che l'avventura
da riproporre è quella di riscoprire il Vangelo.
E, insieme, riscoprire come "in grazia alla luce e
alla forza che vengono dal Vangelo, si possa conferire maggior
umanità alla vita delle persone" (Card. C. Maria
Martini).
CURVARSI
La
sensibilità attenta dell'Arcivescovo segnala dunque
il vero problema, ma, insieme, ne individua l'approccio,
Mi è caro identificarlo in un'immagine evocata dal
nostro Arcivescovo, un'immagine limpidamente evangelica,
un verbo, il verbo "curvarsi".
Curvarsi può significare due cose.
Innanzitutto l'umiltà di una chiesa che rifugga dal
tono presuntuoso di chi predica agli altri e assuma quello
discreto di chi innanzitutto predica a se stesso.
"L'evangelizzazione esige che come chiesa ci lasciamo
innanzitutto noi trasformare da Dio e dalla Sua Parola in
una realtà viva. (
) Si tratta di essere anzitutto
noi, in opere e in parole, un "vangelo""
(Card. C. M. Martini).
SU
MISERIE, FATICHE, PESANTEZZE
Il
verbo evangelico "curvarsi" allude anche a un
altro significato importante:: "La nuova evangelizzazione
indica la pazienza di curvarsi con amore e umiltà
sulla nostra società - con tutte le sue miserie,
fatiche e pesantezze - per aiutarla a vivere in rinnovata
e maggiore pienezza il messaggio liberante dal Vangelo,
nella concretezza della nostra storia e della nostra civiltà,
per tanti aspetti frammentata, complessa e tentata di autosufficienza
con tutti i suoi progressi e la sua tecnicizzazione.
Per fare questo, una attenta opera di evangelizzazione deve
interrogarsi sul vissuto quotidiano dei nostri contemporanei
(
). Deve pure attuare un serio ripensamento di tutta
la nostra azione pastorale per vedere come sia possibile
entrare nel tessuto della vita quotidiana delle nostre comunità
e degli uomini del nostro tempo (
)" (Card. C.
M. Martini).
Il pastore ci ha indicato un gesto "curvarsi".
E come non sognare che possa diventare l'immagine di tutti
noi?
Più che per le strade di una proclamazione gelida
di formule ortodosse, il Vangelo passa per le strade del
nostro curvarci.
LA
TESTIMONIANZA DI UNA "LAICA"
L'ho
pensato sere fa, quando ad ora tarda riuscii a "prendere"
la coda di una trasmissione televisiva dove, a più
voci, si dibatteva di " giovani e fede": il dibattito
seguiva la messa in onda di un film su Francesco d'Assisi
della Cavani.
Al dibattito partecipavano uomini di chiesa e no, un vescovo,
preti, sociologi, politologi, giornalisti, poeti.
Su tutti mi colpì la testimonianza di una "laica":
quasi una scuola di evangelizzazione emozionante, davanti
a milioni di telespettatori.
Purtroppo posso riassumere solo a braccio il suo intervento.
La domanda - diceva - è quella di senso: il senso
del vivere e il senso del morire.
E noi laici che risposte abbiamo alla domanda sul senso
del morire? Eppure il morire è una grande parte della
nostra vita. E quale assurdità rimuoverne il pensiero
e l'interrogazione!
Io - diceva - mi sono ritrovata ad accompagnare, in questi
ultimi mesi, una mia amica, più giovane di me, ormai
prossima a morire. E che cosa potevo dire io, laica?
In quell'ospedale arrivavano i giovani della comunità
di S. Egidio: non una parola su Dio. Non li ho mai sentiti
pronunciare il nome di Dio. Eppure la loro era una presenza
trasparente.
Poi la mia amica giunse alla fine. E che cosa potevo dire
io, laica? Ho preso in mano il Vangelo e ho letto il brano
dell'agonia di Cristo nel Getsemani.
Sono passati parecchi giorni. L'intervento di Rossana Rossanda
è il solo, o quasi, che io mi ricordi.
Quella testimonianza non impallidisce. E oggi ricorda a
un prete un verbo, limpidamente evangelico, il verbo "curvarsi".
don
Angelo
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