MEMORIA
DI UN "CONSEGNATO"
Leggo
amore e, a volte, anche una dolcezza che mi commuove in
quel gesto piccolo e tenero di chi oggi, nelle Messe, alla
Comunione, offre le mani a ricevere il corpo del Signore.
E come non augurarmi che rimanga nel tempo questa emozione
che ora sorprendo negli occhi, l'emozione per il Dio che
si consegna, che è nelle tue povere mani? Fino a
questo punto, Signore!
"Consegnarsi" è il verbo che, nella sua
limpidezza, segnala la logica custodita nell'Eucaristia,
il senso che la percorre.
"Questo è il mio corpo dato (consegnato) per
voi": così Luca annota la parola del Signore
nella notte del tradimento e fissa per i secoli la luce
che abita quel pane.
Quel pane e le tue mani. Anche le mani senza pretese dei
nostri ragazzi, piccolo nido aperto ad accogliere il Signore
che si consegna.
NELLE
MANI DEGLI UOMINI
Pasqua
è alle porte. E già la liturgia delle chiese
-come un giorno la casa di Betania- profuma all'avvicinarsi
del mistero.
E mi viene spontaneo pensare che proprio sotto il segno
del consegnarsi Gesù ha posto la profezia della sua
Passione, quasi a svelare la cifra che ne dice il significato
ultimo.
"Il Figlio dell'uomo" -è scritto nel Vangelo
di Marco- "è consegnato nelle mani dei figli
degli uomini".
L'Eucaristia non poteva non essere sotto il segno del corpo
consegnato se la memoria che arde nel pane spezzato altro
non è che la memoria della Croce del Signore.
***
Consegnarsi: gesto del Signore. E, prima di lui e dopo lui,
gesto di innumerevoli profeti e giusti, consegnati, lungo
la storia, nelle mani dei figli dell'uomo.
E Gesù, loro associato. La profezia è avverata.
"Giuda lo consegnerà ai sommi sacerdoti (14,
18), questi lo consegneranno a Pilato (15, 1.10), Pilato
lo consegna ai soldati (15, 15). Gesù diventerà
un oggetto, una cosa, una 'res'. Come lo schiavo, consegnato
dall'uno all'altro, manipolato, perché fanno di lui
quello che hanno voluto, come per Giovanni il Battista (9,
17)" (Enzo Bianchi).
Storia di Cristo, storia di un consegnarsi.
Follia e rischio del consegnarsi. Perché non sai
dove finisci, non sai in quali mani, né sai che cosa
gli altri faranno di te.
Tu, Signore, consegnato nelle mani del Padre. E consegnato
nelle nostre mani: in quali mani, Signore, sei caduto!
SENZA
NON C'È AMORE
Ma
senza il consegnarsi non c'è amore. Nessuna avventura
seria di amore.
Senza il consegnare "se stessi" c'è il
mercato, c'è l'approfittare dell'altro, c'è
la reprocità spenta delle prestazioni, c'è
l'involgarimento dell'amore, appiattito a un vuoto e arido
scambio di cose: ci si dà cose, non ci si dà
l'anima.
Io ti prendo nelle mie mani, Signore. E nel tuo corpo consegnato
leggo tutta l'incandescenza del dare se stessi.
Non hai preteso come condizione del consegnarti che le mie
mani fossero pulite e degne , né ti sei chiesto quanto
io capissi o non capissi del tuo mistero.
INCONDIZIONATAMENTE
Farò
Pasqua, Signore.
In una vita di pallide memorie accenderò la tua Memoria,
la memoria più pura e più trasparente del
consegnarsi.
E ti chiederò, ancora una volta, nella notte, di
convertirmi al tuo gesto. Anch'io tra quelli che si consegnano,
ma solo a metà o con riserva mentale; anch'io tra
quelli che si consegnano, ma a tempo determinato; anch'io
tra quelli che si consegnano, ma a certe condizioni: a condizione
di finire in mani pulite, grate, accoglienti.
***
Fare Pasqua e consegnarsi alla ferialità. Alla ferialità
della vita, ma senza amarezza. Con amore.
E vivere la vita -tutta!- come un consegnarsi, giorno dopo
giorno.
E poi sarà l'ultima consegna. Potermi allora consegnare,
ma senza amarezza, alla morte. Consegnarmi, come hai fatto
tu, Signore, affidandomi alle ultime mani.
Le ultime sono le mani del Padre. Sei in mani sicure: "Nelle
tue mani consegno il mio spirito".
"Nelle tue mani" dicevi. Nella certezza che il
velo della morte è poco più di un'ombra. L'aria
già respira la risurrezione.
L'ultima consegna non è alla morte, se non per poco:
è alla risurrezione.
SOTTO
IL GIUDIZIO DELLA CROCE
Disegnare
la vita come un consegnarsi.
Ma -se mi è consentito- vorrei aggiungere un'ultima
riflessione. Vorrei iscriverla in un interrogativo che la
vita a volte ci rimanda.
Che cosa dire, quando alla terra luminosa della dedizione
disinteressata sembra rispondere la terra arida della grettezza
del cuore e negli occhi leggi la pretesa, il tutto dovuto,
lo sfruttamento?
Se da un lato infatti non può non destare preoccupazione
-sul versante di chi è chiamato a donarsi- questa
resistenza sempre più diffusa a consegnarsi e a consegnarsi
definitivamente, dall'altro non può non destare preoccupazione
-sul versante di chi riceve- un'assenza di sensibilità
e di cuore: l'altra faccia dell'egoismo.
A gesti limpidissimi di dedizione più di una volta
risponde il volto spento e vuoto di chi della vita ha fatto
un mercato, all'insegna del calcolo freddo e interessato.
Non sto immaginando -tu lo sai- paesaggi teorici. Sto ripercorrendo
terre della quotidianità.
***
Che cosa fare?
Non sarà il tuo stesso consegnarti quasi un incitamento
a "usare" e ad approfittare di chi la vita la
interpreta sotto il segno limpido e gratuito della dedizione?
Occorrerà dire con franchezza che questa nostra generazione
-come ogni altra- salva sarà a una condizione: che
ci rimanga il coraggio di lasciarci giudicare da quella
Croce, dove il Signore è salito non ad avvallare
il sopruso dell'uomo sull'uomo, ma a rivendicare per chiunque
il diritto di non essere appiattito a una cosa di cui usare:
l'uomo "usato", la donna "usata".
La vita come afferrare e pretendere o la vita come accogliere
e consegnarsi? La parola della Croce è inequivocabile.
***
Una parola di salvezza.
L'esito infatti di una terra, dove alla cultura del consegnarsi
si preferisse quella del disporre degli altri, sarebbe triste
e raggelante, e, forse, in qualche misura purtroppo è
già dotto i nostri occhi.
Vuoto l'idolo -ricchezza, successo, potere- ma vuoti anche
i fabbricatori dell'idolo, quasi una maledizione ci seguisse.
Degli uni e degli altri è scritto nel salmo 134:
"Gli idoli dei popoli sono argento e oro,
opera delle mani dell'uomo.
Hanno bocca e non parlano,
hanno occhi e non vedono.
Hanno orecchi e non odono,
non c'è respiro nella loro bocca.
Sia come loro chi li fabbrica
E chiunque in essi confida".
L'idolo
o la Croce?
don
Angelo
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